L’Afghanistan al voto il 20 ottobre

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, la lotta senza quartiere al terrorismo di stampo islamista

Il 20 ottobre si vota in Afghanistan per rinnovare gli organi parlamentari (nell’aprile 2019 sarà la volta delle presidenziali). E’ l’occasione per cercare di capire cosa sta succedendo in Afghanistan dopo 17 anni dall’entrata a Kabul dei marines, un’invasione, quella americana che faceva seguito agli attentati dell’11 settembre 2001, la necessità di una lotta senza quartiere al terrorismo di stampo islamista.

Ancora oggi sono presenti in territorio afghano diversi contingenti cosiddetti di pace tra cui i 500 militari italiani dislocati tra Kabul e la provincia di Herat per cercare di “mantenere l’ordine e garantire il processo di pace”. Parole auliche, magniloquenti, che però non rispecchiano in minima misura la realtà dei fatti e la drammatica situazione della società civile. Occorre dire che quella afgana è stata una delle operazioni militari più lunghe e prolungate della storia contemporanea più recente a partire dal secondo conflitto mondiale. Avrebbe dovuto garantire davvero pace e sviluppo –sviluppo che la pace almeno permette mentre la guerra tutto ostacola e rende impossibile- ma la situazione oggi dell’Afghanistan è quanto di più disperato –di più buio- si possa immaginare. Nonostante questo sono diffuse e operanti piccole ma significative realtà che appaiono come luci nella notte, fiammelle di speranza. Partiamo dalla pars destruens per poi vedere gli spiragli di luce, la pars construnes.

L’Afghanistan in tutti questi lunghi anni non è mai stato un paese pacificato. Piuttosto un paese diviso, frastagliato, con al proprio interno diverse e contrapposte –confliggenti- autorità. Accanto a quella per così dire legittima di Kabul (suffragata dalla comunità internazionale, sebbene corrotta assai al proprio interno, una corruzione –bisogna dirlo- troppo spesso tollerata e vista come male minore) vi erano altre “autorità”, quella dei “signori della guerra”, sparpagliata in diversi contesti territoriali e quella dei talebani che sono sempre stati presenti in gran parte del territorio periferico e addirittura in questi ultimi tempi vedono espandersi la loro influenza e il loro predominio in aree strategicamente rilevanti (basti pensare al confine appunto “strategico” col Pakistan: da lì si smista una quantità micidiale di droga).

Se, ad esempio, le donne hanno avuto una qualche forma di “liberazione” negli anni successivi alla “vittoria” degli alleati occidentali, una qualche parvenza di laicità, con la possibilità di andare a scuola da parte delle bambine e di accedere a ruoli pubblici, questa presenza purtroppo si è rivelata con l’andare del tempo, del tutto irrilevante, quasi un voler fare bella mostra – che la parità di genere si andava costruendo- quando in realtà a comandare seguitavano e continuano ad essere in esclusiva solamente gli uomini, maschi gelosi del proprio ruolo, irrispettosi e cocciuti nel fatto di non dare spazio al rilevantissimo –se solo lo si volesse valorizzare- mondo delle donne, ingegnose e pazienti, intelligenti e lucide ma ricacciate indietro ogni volta che tentano di affacciarsi sulla “scena” pubblica con iniziative e fantasia e coraggio che non manca di certo in loro.

Oggi l’Afghanistan è devastato dalla droga – dalle droghe, di ogni tipo e diffusissime- che investe per spaccio e consumo quasi ogni ceto sociale. Militari e poliziotti, impiegati pubblici e burocrati di stato fanno ampio uso di oppio ed eroina (ricordiamo che l’Afghanistan è uno dei principali produttori al mondo di oppio e nel 2017 di oppio c’è stato un raccolto assolutamente da record!). Le campagne che erano stato condotte per riconvertire la produzione di droga in produzione di granaglie e alimenti in genere è purtroppo largamente fallita. Oggi si continua a produrre oppio per la trasformazione e l’esportazione di fiumi di droga in tutto il mondo. Più del 10% della popolazione è tossicodipendente e non è che ci siano strutture come noi siamo abituati a vedere, no, queste persone vivono per strada, sotto i ponti, nelle stazioni, nello sbando più totale. Sono un esercito –è questo che preoccupa- che si ingrossa sempre di più. Centomila decessi all’anno per overdose, calcola qualche organizzazione non governativa. Un’ecatombe!

Per quanto riguarda la pars construens…la presenza di numerose associazioni di volontariato che alleviano per quanto possono così tanto dolore e solitudini immense. Cieli azzurri –oasi di bontà- in paesaggi brulli e deserti, boccate d’ossigeno che attestano che anche nelle condizioni più tristi e becere un dato umano risalta e s’esalta portando vicinanza e calore. Ma non è certo questo l’Afghanistan sognato e auspicato, “liberato”.

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