“Io, prete trentino agli antipodi”

“C’è miseria, ma non si muore di fame. Però lo Stato è assente”

“Ecco, aspetta, quell’edificio dal tetto di lamiera dipinta è la scuola del villaggio. E quella al margine della foresta è l’abitazione del parroco, casa mia”. Quasi si commuove, don Sandro Depretis, osservando per la prima volta dall’alto, quasi a volo d’uccello, grazie alla vista satellitare offerta dalle mappe di Google i luoghi dove tornerà nei prossimi giorni a svolgere la sua attività pastorale e sociale. “Cosa vuoi, da noi la connessione Internet è lentissima… quando c’è! E quando il pannello solare garantisce quel po’ di energia elettrica che utilizziamo anche per caricare la batteria del cellulare”. Si è trovato davvero un posto ai confini della Terra, proprio agli antipodi, questo sacerdote diocesano trentino “fidei donum” che, risolto qualche problema di salute, si accinge a tornare sull’isola Fergusson, la principale di un arcipelago a Est di Papua Nuova Guinea. Ricoperta in gran parte dalla foresta pluviale, è attraversata da un paio di piste che don Sandro percorre sempre a piedi, per raggiungere le varie comunità. Nell'isola ci sono tre vulcani e una cima principale, il monte Kilkerran, che don Sandro si ripromette da tempo, prima o poi, di raggiungere (arriva a poco più di 2.000 metri s.l.m.).

Quando questo giornale sarà in edicola, don Sandro Depretis sarà già all’aeroporto di Milano Malpensa in attesa di imbarcarsi per Doha, in Qatar, da dove spiccherà poi il balzo per Singapore e da lì infine per Port Moresby, capitale di Papaua Nuova Guinea. E il viaggio non sarà ancora terminato. “Mi aspettano ancora ore di viaggio fino ad Alotau e quindi la navigazione fino a sull’isola Fergusson”. Dopo gli anni a Gibuti nel Corno d’Africa, la missione a Tripoli prima della guerra che ha fatto piombare la Libia nel caos odierno, quindi in un campo profughi in Tunisia, don Sandro chiese e ottenne di poter svolgere la sua missione in Papua Nuova Guinea, a Vanimo, quasi al confine con le province indonesiane di Papua e Papua occidentale, dove rimase tre anni. Una parentesi di due anni in Ciad, a Gagal, per dare una mano ai confratelli diocesani, e nel 2017 il ritorno dall’altra parte del mondo.

Troverà un paese potenzialmente ricco di risorse – miniere, pesca, foreste – ma che dalla recente indipendenza, nel 1975, non ha saputo sviluppare un’economia capace di andare oltre la semplice sussistenza. “C’è miseria – osserva don Sandro -, ma non si muore di fame”. Lo Stato è sostanzialmente assente e non è in grado di assicurare i servizi: i trasporti, difficoltosi, considerata la conformazione geografica, sono affidati ai privati; l’istruzione e la sanità si reggono su una collaborazione tra pubblico e privato. “Dove sono io – spiega don Sandro – c’è un dispensario di salute pubblica costruito dalla Chiesa, mentre le persone che vi lavorano sono stipendiate dallo Stato”. E così è per la scuola. Una piaga endemica è la corruzione, favorita dal sistema stesso: “Ai parlamentari lo Stato affida risorse per realizzare progetti nelle realtà che li hanno eletti”. E’ evidente che ciò favorisce le clientele, l’erogazione dei servizi finisce per dipendere dalla discrezionalità del politico di turno.

Il lavoro di don Sandro nelle comunità è all’insegna della discrezione. “Tutti sono molto presi dalle attività quotidiane per sopravvivere. Io mi reco nelle comunità solo la domenica, per le celebrazioni e l’amministrazione dei sacramenti, le visito quindi a rotazione. E così fanno i miei colleghi parroci. Siamo venti in tutto, ciascuno con la sua parrocchia che si estende su ampi territori dove gli spostamenti via terra e via mare sono difficili. In ogni comunità cristiana ci sono catechisti, persone formate localmente che sono un po’ le figure guida. Io mi propongo di rafforzare questa formazione di base”. Un altro settore che sta a cuore a don Sandro è quello dell’istruzione. “Purtroppo la qualità dell’istruzione è andata peggiorando, non ci sono libri. E mi chiedo che futuro può avere un paese in cui l’educazione è malmessa. In questo settore si potrebbero avviare dei progetti”.

Prima di salutarci, don Sandro ci lascia una raccomandazione, che è anche una consegna, che riprende in qualche modo un’esigenza sentita anche dai missionari di origine trentina presenti in America Latina ed espressa nel loro ultimo incontro nel Nordest del Brasile, nel febbraio 2017: “Sento l’esigenza che sia rivitalizzato il senso dello scambio che è all’origine dei ‘fidei donum’, facciamo in modo che torni ad essere un’esperienza di reciproco arricchimento”.

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