Il limite e il miracolo della cura

“Speranza significa attesa fiduciosa di un evento gradito o favorevole; nella morale cattolica grazie ad essa il credente si apre alla visione di Dio. È un aspirare o tendere verso qualcosa di positivo basato però su un legame più o meno visibile (anche simbolico) che ci lega sempre responsabilmente a qualcosa o qualcuno con un intreccio tra il presente e la realizzazione futura di ciò che ci si augura potrà succedere”. E dunque, la speranza è una virtù complessa, da non confondere con l’ottimismo di pancia, come scrive il dottor Fabio Cembrani, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Legale dell’Azienda provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, nel suo ultimo saggio dedicato a “Il limite, la speranza e il miracolo della cura” (Aracne, 2018).

Il libro prosegue l’approfondimento avviato con “Quando la medicina diventa misericordia” (Marietti, 2015), a testimoniare un percorso prezioso in cui, di fronte alla deriva tecnicista di una medicina che dimentica la sua missione di “arte della cura”, si è interrogato sull’esigenza di ridare senso alla relazione tra medico e paziente, affrontando poi ne “Le nuove sfide del care” (Aracne, 2017) temi di medicina legale, deontologia ed etica. L’auspicio infatti è che chi si prepara a svolgere questo delicato lavoro ritorni sulla “strada perduta dell’umanesimo, a partire dalla capacità di tessere relazioni personali solide, rispettose e mature, dal riconoscimento reciproco e dal rispetto della dignità umana”.

Una riflessione si impone per il rischio della trasformazione del medico in funzionario, più preoccupato dell’efficacia delle performance e delle procedure che del paziente e in un approccio multidisciplinare Cembrani esplora “Intersezioni, vecchi scenari e nuovi orizzonti” di limite, speranza e cura.

I limiti ci condizionano, scrive Bodei nel suo “Limite” (Il Mulino, 2016), ma sono “cangianti e mobili: l’uomo nel trovarli per lo più li supera”. Tuttavia, occorre riscoprirne senso e funzione: “il superamento di ogni limite – scrive Cembrani – non ci fa riflettere sul significato più autentico della vita che ci appella a interrogarci per capire quali sono i criteri che distinguono gli ostacoli che è lecito superare da quelli che fanno parte della nostra stessa natura umana, criteri che vanno trovati anche per la cura”. La scommessa è cogliere l’opportunità insita nel limite, rappresentata dal suo essere “soglia, ingresso, principio” che apre ad un orizzonte di senso più ampio. La domanda sul senso del limite e del male – che non è affatto “banale”, casomai imprevedibile – e la necessità di ridisegnare le coordinate entro cui svolgere la professione medica non possono essere infatti disgiunti da quella sulla responsabilità etica, che è domanda di significato e di valore. La questione di fondo resta quella di “dare alla cura una prospettiva umana, provando a risolvere le asimmetrie prodotte dalla sproporzione tra chi sa e chi non sa”, facendo spazio all’autonomia del paziente ma senza che il medico venga meno alla sua, pena il suo ridursi a mero emittente di informazioni e mero esecutore materiale di scelte altrui.

Si tratta, avverte Cembrani, di “non cedere alle lusinghe della nuova sirena della tecnicalità”, e partendo dall’analisi effettuata nel terzo capitolo di “limite” e “speranza” soffocati nella morsa della medicina amministrata e di un diritto invadente, invita a “recuperare il significato positivo del limite senza perdere di vista la speranza come impegno nel quotidiano”. Una speranza che richiama la “prossimità responsabile” indicata da Papa Francesco in due messaggi pubblici del novembre 2017 sulla proporzionalità delle cure e i limiti del sapere tecnico-scientifico: “Non tutto ciò che è tecnicamente possibile o fattibile – dichiarò Bergoglio – è perciò stesso eticamente accettabile”. E, commenta Cembrani, “prossimità responsabile è caratteristica non solo dei credenti, ma di tutti coloro che riconoscono il limite dell’umano come elemento che ci accomuna”. Riscoprire il senso del limite e rispettarlo significa perciò “l’assunzione di una forte dose di responsabilità che richiede prudenza e mitezza aprendoci non solo a noi stessi ma soprattutto al rispetto degli altri, alla reciprocità e solidarietà umana”.

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