Di scossone in scossone

Il governo andrà avanti fino a che potrà, con l’illusione che qualcuna delle mirabolanti riforme strombazzate gli ridia fiato

Tutti a speculare sul significato delle elezioni regionali sarde che hanno registrato un altro scossone del nostro sistema politico ormai in costante evoluzione: inevitabile, anche giusto, ma da gestire con una certa freddezza. Vediamo qualche questione aperta.

La prima, grande come una casa, è se quanto è successo in Molise e in Sardegna si ripeterà e come alle elezioni europee, fatte assurgere a punto di svolta della politica nazionale. Molti pensano che tutto sarà diverso, perché in quella occasione non sarà possibile la frammentazione in tante liste, visto sia lo sbarramento del 4% sia il sistema proporzionale. Consigliamo qualche cautela, perché alle europee saranno accorpate nello stesso giorno un buon numero di elezioni amministrative per i comuni, una elezione regionale (il Piemonte) e anche delle suppletive per i collegi nazionali resisi vacanti (in Trentino). Questa combinazione rilancia lo spazio per quelle coalizioni-ammucchiata che sostanzialmente hanno caratterizzato le recenti regionali e dunque, sia pure non sull’intero territorio nazionale, favoriscono quel panorama di frammentazione e tripudio delle aspirazioni alla visibilità a prescindere che rendono caotico il nostro panorama politico. E si può ben capire che la gente non vota nello stesso momento in un modo per le europee e in un altro per le amministrative. In contesti di questo tipo la possibilità di spingere per una stabilizzazione del quadro si indebolisce molto e ciò significa continuare nell’esasperazione della concorrenzialità e conflittualità in un groviglio di interessi e di pseudo-ideologie.

Il secondo tema riguarda la tenuta del governo. Qui ci sembra molto difficile immaginarne una caduta a breve, per due molto semplici ragioni. La prima e principale è che al momento non ci sono alternative se non uno scioglimento della legislatura con conseguente ricorso alle elezioni. Coi tempi che corrono significa per tutti un salto nel buio della mobilità dell’elettorato, cioè qualcosa che per primi i parlamentari in carica non auspicano certo. La seconda è l’interesse contrapposto, ma alla fine convergente dei due azionisti della coalizione di maggioranza a tenere in piedi questo esecutivo. Salvini ha tutti i vantaggi dello stare al potere (ovvero: poter distribuire posti, intervenire sulle questioni, tenere la scena, ecc.) senza dover pagare dazio, perché può scaricare le inefficienze e i blocchi sulle impuntature dei Cinque Stelle, i quali sono maestri nell’assecondarlo comportandosi come i classici elefanti nel negozio di cristallerie. Di Maio è condannato al governo, perché se lascia quella posizione non ha alternative da proporre: si ritirerebbe da perdente, non saprebbe che alternativa di coalizione proporre, visto che neppure coi numeri dei tempi migliori può avere la maggioranza, e infine non sarebbe più credibile proponendo di tornare nella antica veste della opposizione che apre le istituzioni come una scatola di tonno.

Dunque il governo andrà avanti fino a che potrà, con l’illusione che qualcuna delle mirabolanti riforme strombazzate gli ridia fiato, ma soprattutto con la strategia della navigazione a vista del presidente Conte, che annacqua ogni questione e la rinvia a data da definirsi (se ci si consente una battuta: anche questa è una tattica di cui certi avvocati si avvalgono regolarmente).

La questione spinosa è quella economica, perché lì non si scherza. Tutti hanno notato che il ministro Tria si è levato non un sassolino, ma un vero e proprio sasso dalla scarpa quando ha ricordato che con questo modo di gestire la politica gli investitori lasceranno l’Italia. La risposta del solito Toninelli è stata un monumento alla pochezza grillina: si ricordi del contratto di governo, come se un pezzo di carta fosse in grado di cambiare una realtà.

Ora il tema è esattamente quello di capire come sarà l’andamento della nostra economia nella seconda parte dell’anno: sarà allora che la gente si renderà conto di come siamo messi, perché per adesso siamo solo al contrapporsi di speculazioni sul futuro. Chi vorrà intestarsi una legge di bilancio per il 2020 che dovrà fare i conti con la finanza allegra e con le avventure del governo giallo-verde? Chi sarà disposto ad affrontare con questo nuovo clima la prova di un eventuale ricorso ad elezioni anticipate? E se si vorrà evitarle, quali vie d’uscita per un governo di tipo diverso sono disponibili?

Domande tutte, purtroppo, piuttosto inquietanti.

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