Sei ragazze di Calabria

Italia, anni '70. Le storie di sei giovani appese ad un mondo che sta cambiando

“Un angelo a Bisanzio” è il nuovo libro di Maria Annita Baffa. Ad introdurci nel romanzo fin dalla copertina è il sottotitolo: “Ragazze albanesi nella Calabria degli anni Settanta”.

Sono sei ragazze di Calabria, di un tempo in bilico fra tradizione e modernità, in un’Italia che si stava velocemente trasformando. Al Sud gli anni settanta del Novecento vedono in Calabria l’apertura dell’Università sulla collina di Arcavacata a Cosenza; ed è qui dove ritroveremo queste ragazze e le loro storie appese ad un mondo che sta cambiando.

Ma c’è anche molto che collega questo romanzo con il Trentino. Innanzitutto, l’autrice del romanzo: nata a Santa Sofia d’Epiro in provincia di Cosenza, paese arbëresh, da anni vive a Trento. Ha pubblicato: “Temistocle Miracco”, segnalato dalla giuria del premio Grenzen-Frontiere a Primiero nel 2009; Gli angeli non si possono disegnare, Curcu-Genovese, Trento, 2011; La sposa della neve, AlphabetaVerlag, Merano, 2015 “targa speciale” della Giuria dei Critici del Premio Stresa.

E c’è poi un secondo aspetto che avvicina questa parte del Sud al Trentino ed è l’Università che fa da sfondo alla trama: fondata nel 1972, l’ateneo della Calabra annovera tra i fondatori e primo Rettore Beniamino Andreatta,per il suo ruolo nel 2009 gli fu intitolata l’aula magna.

Nel romanzo le sei giovani, attraverso lo studio universitario, cercano di spingere le loro esistenze oltre il cerchio della vita di paese da cui provengono, incontrando la città che è un mondo tutto nuovo, soprattutto perché adesso c’è l’università.

Storie narrate attraverso la sensibilità della protagonista, Sofia. Sofia proviene da un paese arbëresh, di antico insediamento albanese. L’arrivo al campus e l’aprirsi di nuove situazioni dettate dalla vita universitaria, di studio, di maturazione personale e anche politica che è di un’intera generazione. Diventeranno partecipi delle lotte di quegli anni per il diritto allo studio e per lo stesso futuro dell’Italia del Sud.

Quasi in una libera associazione di istantanee, Sofia riflette a lungo sul suo presente e lo rispecchia nel mondo, che pur vuole lasciare, del suo passato e del suo paese, non senza la profonda nostalgia per ciò che, come l'infanzia, è destinato a tramontare.

La lingua arbëreshe, che funge da controcanto suggestivo all'italiano, è qui non solo mezzo d’espressione, ma anche contenuto del romanzo. E in questo confondersi di suoni, che in fondo sono un incontro di culture, sta sicuramente la grande originalità di questo racconto.

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