Un “cambiamento” che si va consolidando?

I Cinque Stelle rimangono il partner ideale per Salvini, perché sono percentualmente abbastanza forti da fare una maggioranza, ma deboli sia perché se rompono non sanno dove andare

Adesso abbiamo anche i risultati delle elezioni regionali in Basilicata che, pur con le cautele suggerite dal numero ristretto di votanti, si prestano a più di una riflessione. Come sempre coi numeri si può giocare. Di Maio può dirsi contento perché M5S è stato comunque il partito più votato, sorvolando sul fatto che ha perso metà del consenso raccolto un anno fa alle elezioni nazionali. Gli basta dire che ha fatto un balzo in avanti rispetto alle precedenti regionali, mettendo la sordina sul fatto che la Lega se si ragiona così sarebbe passata da zero al 19% e che ha guadagnato tantissimo in rapporto alle politiche. Stesso discorso per l’opposizione a guida PD (ammesso che lì davvero sia il PD che guida) la quale si vanta di avere circa 13 punti in più di M5S, ma sorvola sul fatto che quel risultato è ottenuto mettendo insieme ben sette liste.

Cerchiamo allora di non perderci in questi giochetti e di leggere quanto è avvenuto da una prospettiva più ampia. Il primo dato, indubitabile, è che il centrodestra ha strappato la regione al centrosinistra dopo 24 anni di suo ininterrotto dominio. E’ un segnale che l’elettorato individua nel centrodestra a guida Salvini il perno del nuovo potere, anche senza lasciarci andare alla considerazione che si tratta di una regione del Sud, terreno molto sensibile a schierarsi col potere centrale (del resto così fu per la conversione di quelle aree dalla DC alla sinistra nei due scorsi decenni). Salvini è il perno, perché il suo partito è quasi primo a pari merito (M5S ha il 20,3%, la Lega il 19,1) e perché le altre componenti della coalizione sono ben distanti da lui. FI è al 9,1% e anche se considerassimo un para-FI la lista personale del candidato presidente col suo 4% la somma non creerebbe una concorrenza (ammesso e non concesso che il vincitore questa competizione interna al centrodestra voglia poi farla). Quel che rileva è che però le altre due componenti della coalizione, cioè Fratelli d’Italia e “Idea” (una formazione che viene da varie trasformazioni degli ex NCD) sono due realtà con una loro corposità visto che hanno rispettivamente il 5,9 e il 4,2%.

Non si sottovaluti questo dato, perché significa che Salvini se volesse stare solo col centrodestra almeno al momento potrebbe non trovarsi in posizione dominante, perché nelle altre forze c’è un personale politico sperimentato che non può essere facilmente manipolato come avviene coi Cinque Stelle.

Questo è, a nostro giudizio, ciò che mantiene aperta la questione del governo nazionale. Il leader della Lega non ha interesse a scaricare un partner in difficoltà come fortune elettorali e con un personale per lo più di limitata capacità che può dunque tenere sulla corda a piacimento. Dovrebbe sostituirlo con alleati ben più sperimentati che rimessi nei centri di potere sarebbero in grado di espandersi condizionandolo.

Sul versante opposto il PD non si mostra in grado di contrastare la percezione che lo disegna come ormai perdente quanto ad occupazione del potere. La coalizione che presume di guidare è sì arrivata seconda col 33% (comunque 9 punti meno di quella vincente), ma era fatta di ben 7 liste, nessuna veramente predominante (quella che menzionava esplicitamente il PD al 7,8%, ma un’altra di identità non chiarissima ne ha raccolti 8,6), tanto che, a parte i Verdi (1,9), le altre sono tutte un poco sopra il 3%. Cosa indica questo? Che il PD è stretto in una rete di interessi locali (a cui si dice non sia estraneo l’ex presidente Pittella e il suo clan), frammentati e poco sensibili ai problemi del quadro nazionale. Certo era pretendere troppo che ci fosse un “effetto Zingaretti” ad incidere su questo quadro, ma resta che il PD non riesce a trovare un colpo di immagine che lo rilanci.

Ci sarebbe dunque da osservare che M5S non è messo così male. Ha esaurito la sua capacità di larga attrazione, ma conserva uno zoccolo duro niente affatto piccolo che non dà segno di voltargli le spalle. Si tratta di una componente che apprezza il “governismo” di Di Maio e Casaleggio con la sua capacità di politiche in favore di settori ben determinati.

Insomma i Cinque Stelle rimangono il partner ideale per Salvini, perché sono percentualmente abbastanza forti da fare una maggioranza (tanto per stare al minimo: circa 20 che si aggiunge al 30-35 della Lega), ma deboli sia perché se rompono non sanno dove andare, sia perché possono mantenere il loro consenso solo se il governo a guida leghista li mantiene in posizioni di potere.

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