Le spine dell’economia

Il governo ha trovato comodo prendersela col ministro Tria, perché è un vaso di coccio fra quelli che si considerano vasi di ferro

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Si fa presto a rispondere da bulletti ai rilievi dell’Ocse invitandola a non impicciarsi negli affari nostri, ma altrettanto presto arriverà la sanzione per l’ennesima scemenza espressa dal nostro governo: dare valutazioni sulle economie dei vari Paesi è il mestiere dell’Ocse che non può sottrarsi ad esso e inoltre le analisi vanno eventualmente contestate nel merito, non respinte a prescindere.

Il fatto è che sull’economia il governo giallo-verde è in serie difficoltà. Può cercare di cavarsela ricordando che è in corso una frenata generale dell’economia europea, come fa poco brillantemente il presidente Conte, ma non basta per tranquillizzare i mercati e gli investitori. Proclamare poi che con il varo del nuovo decreto con le misure a favore della ripresa il trend si invertirà rischia di somigliare alle sparate di Hitler quando affermava che con le V2 avrebbe capovolto le sorti della Seconda Guerra Mondiale che stava perdendo.

Ciò che impressiona è il congelamento di ogni seria iniziativa per non compromettere la pesca miracolosa di voti che ci si aspetta dalle urne europee. Così si cerca di promettere a tutti quel che si pensa possa compiacerli: dal permesso alle biciclette di andare contromano all’innalzamento delle cifre per gli appalti che si possono assegnare senza i vicoli dei bandi pubblici. Sono solo due esempi estremi, perché, a tener dietro a quello che viene annunciato ogni giorno, di questi casi se ne trovano a volontà: spesso anche con le furberie del dare e non dare per accontentare un po’ tutti, come con l’idea di abolire l’obbligatorietà dei vaccini, salvo quello per il morbillo, visto che la ripresa di questa patologia ha suscitato allarme.

In questo bailamme la compagine governativa ha trovato comodo prendersela col ministro Tria, perché è un vaso di coccio fra quelli che si considerano vasi di ferro. Il ministro dell’Economia è infatti un “tecnico” senza partito, dunque privo di una tutela parlamentare e politica efficace. E’ vero che viene considerato una scelta di Mattarella, ma il Presidente della Repubblica non può agire oltre certi limiti (stretti) per difenderlo. In più hanno trovato anche una buccia di banana su cui si può sempre spingere Tria nella sua scelta, che davvero non pare molto felice, di una collaboratrice che sembra avere alcuni scheletri nel suo armadio.

Tuttavia la questione economica non potrà essere tenuta a lungo in frigorifero. La vicenda della Brexit non si sta mettendo bene e se a pagarne un prezzo alto saranno gli inglesi, non c’è da illudersi che non ci siano ricadute poco piacevoli anche sui paesi UE. Questo allarma i ceti dirigenti europei, soprattutto quelli degli stati più importanti, ed è fin troppo prevedibile che facciano ricadere le colpe delle difficoltà anche sul nostro paese che in questo momento a livello internazionale non è esattamente nella parte alta delle classifiche sul buon governo.

Così il trio Conte, Salvini, Di Maio chiede a Tria un miracolo dopo l’altro: trovare i soldi per finanziare un po’ di mance pre-elettorali da distribuire; trovare il modo di scrivere un DEF (andrebbe fatto entro il 10 aprile) che prospetti credibilmente un avvenire accettabile, se non proprio “meraviglioso” come nella pseudo-profezia del presidente del consiglio; preparare la base per una finanziaria in cui non si debbano pagare i debiti contratti con le manovre messe insieme in maniera abborracciata dal cosiddetto governo del cambiamento. Il ministro dell’Economia non è ovviamente attrezzato per fare miracoli, ma gli scoccia anche fare la figura del fessacchiotto che crede siano possibili e dietro l’angolo. Dopo tutto è uno stimato professore di economia e si può capire che non voglia uscire distrutto da questa esperienza di governo, che, comunque vada, per lui non durerà ancora a lungo: se non lo costringono prima alle dimissioni, al primo rimpasto o cambio di governo non sembra probabile che continui a sedere dietro la scrivania che fu di Quintino Sella.

L’arte del rinvio, nascosta dietro la cortina fumogena di provvedimenti spot per impressionare il popolo, sta facendo il suo tempo. Seppure in maniera appena percettibile sembra di vedere che l’umore del Paese sta cambiando e i “vati della nuova Italia” devono fare i conti con la stanchezza di un corpo elettorale che non vede realizzarsi quel mutamento promesso e che non si accontenta più di “effetti speciali” come gli annunci sulla lotta alle auto blu o quelli su una flat tax impossibile da realizzare.

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