In guerra l’informazione è la prima vittima

Sulle difficoltà di fare giornalismo in un contesto di guerra ha portato la sua testimonianza Asmae Dachan, brillante giornalista e scrittrice italiana d’origine siriana (la famiglia era di Aleppo) che continua a illuminare la tragedia siriana, anche ora che è scomparsa dalle prime pagine, scrivendo per importanti testate nazionali, come Avvenire, e sul suo blog diariodisiria.com. A Trento Asmae Dachan ha ricordato che, dall’inizio della guerra, in Siria sono stati uccisi 689 giornalisti e 52 operatori dell’informazione sono stati uccisi sotto tortura nelle carceri del regime: colleghi come Raed Fares, fondatore di Radio Fresh, ucciso dai terroristi dell’HTS; Alì Othman, ucciso in detenzione in un carcere del regime; James Foley, sequestrato e ucciso da Daesh (Isis).

Libertà di stampa: un concetto molto distante dalla Siria di oggi?

Purtroppo sì. E non solo dalla Siria, ma da molti altri Paesi. E’ importante parlare di Siria e dare voce a tanti colleghi che nonostante tutto si impegnano a bucare il muro della censura e della propaganda, spesso anche a scapito della vita.

Che giudizio dà dell’informazione prodotta in Italia sulla Siria?

Ci sono giornalisti che con grande coraggio sono andati in Siria e hanno coperto il conflitto durante le sue fasi più critiche. Il problema è che alcune zone del Paese non sono raggiungibili.

Una voce che arriva in Italia è quella dei profughi siriani, arrivati con i corridoi umanitari.

La presenza dei profughi ci ricorda che in Siria c’è un conflitto che va avanti da oltre otto anni, che ci sono 13 milioni di Siriani che non hanno più una casa (6 milioni e mezzo sono sfollati interni e 6 milioni e mezzo sono profughi). Le loro testimonianze ci ricordano che la questione siriana, anche quando non ha più la prima pagina, è purtroppo ancora aperta. Occorre ringraziare la Comunità di Sant’Egidio, la Tavola valdese e la Federazione delle Chiese evangeliche che hanno intrapreso questa iniziativa.

Nel buco nero siriano è finito anche il gesuita padre Paolo Dall’Oglio. Lei che idea si è fatta?

Avevamo sperato con le notizie che arrivavano da Baghouz, ultima sacca di resistenza dell’Isis in Siria. Continuiamo a sperare che sia ancora vivo. Padre Paolo è una voce importante – voglio parlare di lui al presente -, vicina ai Siriani: li ha capiti e ha costruito un ponte tra cristiani e musulmani come mai nessuno prima.

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