Scalare il presente

Il libro “Disabilità e sport di montagna”, presentato in occasione del recente Trento Film Festival, vuole essere uno strumento di lavoro, di rassicurazione e di riferimento per maestri di sci, guide alpine e accompagnatori di territorio

“Lo sport outdoor di montagna vede oggi un numero sempre maggiore di praticanti con disabilità fisica, intellettiva o sensoriale, tale da aver raggiunto un target significativo di attività per molte scuole di sci. Dei 50 milioni di persone disabili nell'Unione Europea, il 65% chiede la vacanza attiva”.

Lo ha sottolineato la responsabile area di Tsm-Accademia della Montagna del Trentino, Iva Berasi, presentando, lo scorso 1° maggio, nella sede della SOSAT a Trento, il libro “Disabilità e sport di montagna”, scritto insieme al direttore esecutivo di Sportfund fondazione per lo sport Onlus, Alberto Benchimol.

Un libro unico nel suo genere – di 132 pagine, pubblicato nel 2018 ed edito da Trentino School of Management e dalla stessa Accademia, sul cui sito è scaricabile gratuitamente – nel quale sono raccolti saggi e testimonianze soprattutto di chi (maestri di sci, guide alpine e accompagnatori di territorio) opera con atleti disabili, ricevendo, per sua stessa ammissione, molto più di quanto dà.

“Questo manuale, nato dalle esperienze di formazione per l'accompagnamento dell'allievo disabile all'interno del progetto 'Montagna Accessibile' (grazie al quale, con il contributo dei portatori di interesse e delle categorie economiche, sono stati creati i marchi di qualità Open, ndr), vuole essere uno strumento di lavoro, di rassicurazione e di riferimento per i tanti professionisti della montagna che accolgono persone con disabilità e le accompagnano in attività sportive”, ha spiegato Berasi, fino a giugno 2018 presidente dell'associazione SportAbili Predazzo.

Sono in numero crescente, ad esempio, gli allievi con disturbi dello spettro autistico che trovano nella pratica sportiva (specialmente individuale: mountain bike, sci, escursioni e arrampicata) aspetti psicomotori, educativi e ludici fondamentali per favorire l'autonomia, lo scambio interpersonale, il contatto con l'ambiente esterno e il rispetto delle regole.

“Il Collegio dei Maestri di Sci della provincia di Trento è un precursore nella formazione dei professionisti della montagna che si dedicano all'insegnamento alle persone con disabilità”, ha ricordato Benchimol, medaglia d'oro nella discesa libera e nello slalom gigante alle Paralimpiadi di Innsbruck 1988, guidando l'atleta ipovedente Bruno Oberhammer. “Nella prima metà degli anni Ottanta, il linguaggio comunemente utilizzato, ora socialmente inaccettabile, denotava un approccio assistenziale, che è stato ormai gradualmente sostituito dalla centralità della persona disabile. In questo processo, che non è solo lessicale, lo sport ha svolto un ruolo fondamentale”. Che, grazie anche alla spinta impressa dalle Paralimpiadi di Torino 2006, viene oggi pienamente riconosciuto a livello istituzionale.

La formazione specializzata funge, insomma, da potente acceleratore del cambiamento sociale, rendendo l'offerta sportiva (e, di conseguenza, turistica) sempre più attenta alle esigenze di chi – sono ancora parole di Benchimol – “esprime il proprio talento personale attraverso soluzioni che utilizzano il corpo e le abilità psicofisiche in modo originale e, sovente, altrettanto efficace rispetto a quelli che consideriamo come parametri standard”.

Fra i più talentuosi atleti paralimpici che hanno utilizzato la montagna come palestra di vita per riconquistare se stessi e per superare i propri limiti, ci sono anche i due climber che hanno partecipato alla presentazione del libro in qualità di testimonial dell'azienda roveretana Montura, co-organizzatrice dell'evento proposto nel corso di “Trento Film Festival”: il 34enne vicentino Simone Salvagnin e il 38enne catalano Urko Carmona Barandiaran, legati da un'amicizia nata nel 2011, ad Arco, durante il primo Campionato del Mondo di paraclimbing ospitato in Italia.

“Grazie a un'infanzia passata tra i boschi all'aria aperta e a contatto con la natura, ho maturato una grande passione per la montagna e per tutti gli sport alpini – arrampicata, sci, corsa e mountain bike – che nemmeno la malattia degenerativa da cui sono affetto, la retinite pigmentosa, mi ha fatto passare”, ha detto Salvagnin, che ha solo il 2% di campo visivo residuo laterale. “Questa mia continua attività fisica – unita all'altra grande passione per la musica e soprattutto per le percussioni, che richiedono fisicità e presenza – è una specie di meditazione attiva, che mi aiuta a prendere più coscienza di me stesso nello spazio e a dimenticarmi quasi completamente il mio limite”.

Tornare in montagna è stata la miglior medicina pure per Carmona Barandiaran.

“Dopo aver perso, nel 1997, la gamba destra in un incidente stradale, pensavo che non sarei più tornato tra le rocce, ma il mio posto e la mia testa erano lì. Così sono tornato tra loro, per diventare di nuovo uno studente, per formarmi e sacrificarmi per ciò che amo di più”, ha rivelato il paraclimber di Barcellona, che nell'estate 2009 superò l'impensabile barriera dell'8a, ricevendo poi, nel 2014, l'ambito premio Arco Rock Legend ed entrando ufficialmente, l'anno dopo, nel “Real Orden del Mérito Deportivo”, la massima onorificenza sportiva spagnola. “Quando scalo, sono in quello che io chiamo uno stato di presenza, che mi permette di non pensare a nient'altro e ad 'essere' in quel momento. Scalare il presente, infatti, è l'espressione che mi rappresenta meglio, la mia filosofia”.

E scalando il presente, il futuro – sia per Barandiaran sia per Salvagnin – potrebbero essere le Paralimpiadi di Parigi 2024 o Los Angeles 2028. Questo non è scritto nel libro, ma è come se lo fosse.

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