La crisi che c’è, ma non si deve fare

Prevale la voglia di affidarsi alla tradizionale soluzione di ogni fase politica di crisi: l’inerzia

Come valutare le attuali contorsioni della politica italiana? Ecco una domanda a cui non è facile rispondere. Si dovrebbe partire dalla constatazione che si sta rivelando fallimentare il famoso “contratto” su cui si è edificato il governo e che è stato magnificato dai suoi sottoscrittori come la pietra filosofale per portare a risultati brillanti un esecutivo fondato su due forze diverse. La famosa “quadra” che avrebbe dovuto sempre portare a superare i contrasti secondo un mantra ripetuto sino alla nausea dai due vicepremier non si riesce a trovare.

La ragione è che è semplicemente impossibile trovarla. Prendete la faccenda della TAV: i Cinque Stelle si sono impegnati a bloccarla, la Lega a farla realizzare per non pagare le pesanti penali che deriverebbero dal blocco. La via d’uscita di una presunta “TAV leggera” si è dimostrata una ingenua fantasia e adesso bisogna decidere, ma non se ne esce senza dar torto (marcio) ad una delle componenti. Simile a parti rovesciate la questione dell’autonomia differenziata. La Lega pensava di cavarsela accontentando le pretese di Veneto e Lombardia senza che questo avesse ripercussioni pesanti sul sistema complessivo del paese. Così non è e allora i governatori dovrebbero accontentarsi di una versione più ragionevole delle loro pretese, ma non possono farlo perché perderebbero la faccia di fronte ad elettorati che hanno aizzato col miraggio di una uscita morbida dal sistema delle inefficienze nazionali. Non possono tornare indietro e Salvini, che pure si dice non entusiasta della piega che hanno preso le cose, non può farsi sconfiggere dai Cinque Stelle che hanno cavalcato strumentalmente la causa dell’unità nazionale.

Così è per tutta una serie di questioni: cosiddetta flat tax, salario minimo, gestione dei migranti, nostra politica nella UE, tanto per citare le maggiori. Il premier non riesce ad imporre una linea, mentre in parallelo si agitano le questioni politico-giudiziarie: il pasticcio dell’affaire Russia che mostra un vicepremier che non ha allontanato da sé dilettanti che giocano ai trafficanti internazionali; quello dell’on. Siri che era diventato oggetto delle brame di altri trafficanti che pensavano di farne il loro braccio operativo.

E’ uno scenario inquietante che non si capisce come possa evitare una crisi di governo. Eppure, salvo improvvisi terremoti, non la si farà, perché ben pochi la desiderano. Non la maggior parte dei parlamentari che vogliono tenersi un seggio che con i sussulti nei consensi che si vedono in giro non sarebbe garantito in caso di nuove elezioni; non le forze di opposizione che non solo temono i turbamenti delle urne, ma che valutano se sarebbe saggio correre il rischio di avere un nuovo parlamento nelle mani di una destra che potrebbe avere la maggioranza per eleggersi da sola il successore di Mattarella quando questi finirà il suo mandato. Neppure le varie componenti delle classi dirigenti del paese tifano per una crisi di governo. Certo c’è il problema della legge di bilancio da varare in autunno, ma su quello si potrebbe anche obiettare che mettere un compito tanto delicato nelle mani di una maggioranza così rissosa e poco coesa non sembra una prospettiva entusiasmante. Ma tuttavia il problema maggiore sono le incognite di una crisi che si giocherebbe al buio e di elezioni che si combatterebbero su tematiche incandescenti come la spaccatura fra Nord e Sud, gli scandali politico-giudiziari, le promesse di vari “bengodi” buttate lì alla leggera più o meno da tutti.

Per paradossale che possa sembrare al momento prevale la voglia di affidarsi alla tradizionale soluzione di ogni fase politica di crisi: l’inerzia. Del resto tutti i principali partiti affrontano problemi di crisi interne. I Cinque Stelle sono spaccati dalla necessità di dover rivedere tante scelte fatte in tempi di propaganda allegra: dalla TAV al mito dei due mandati e via elencando, cose che mettono in moto non poche tensioni interne. Non parliamo del PD inabissato nelle sue eterne diatribe interne col gioco degli scavalcamenti reciproci: c’è da perdersi a seguire Franceschini, Renzi, Calenda e via dicendo con Zingaretti che proprio non riesce ad imporsi come timoniere.

Persino la Lega sembra perdere la compattezza intorno a Salvini: un po’ per i suoi pasticci negli affaire Russia e Siri, un po’ per la sua linea di contrapposizione senza prospettive con la UE, un po’ per la spaccatura fra le intemerate dei governatori Fontana e Zaia e il suo progetto di conquista di voti al Sud, anche il mitico “capitano” sembra perdere dei colpi.

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