L’anniversario di Bioenergia Fiemme, l’intervento del vescovo Lauro: “Sentirsi parte del creato,ecco la cultura del limite”

Tra sette autorevoli voci anche l'arcivescovo Lauro: “Vaia, Stava, Cermis: non parliamo di calamità naturali, ma di precise responsabilità”.

Mentre sotto il teatro tenda si festeggiava l'anniversario, a qualche decina di metri la centrale di Bioenergia Fiemme continuava il suo quotidiano lavoro. Lo stesso da vent'anni: bruciare scarti del legno per produrre calore, evitando che lo facciano le stufe in tante singole abitazioni, moltiplicando camini ed emissioni nocive. A Cavalese, e nelle case alle porte della val di Fiemme – 650 ad oggi -, le buone prassi ambientali meritano di essere celebrate. Compresa la più recente produzione di pellet o la gestione del rifiuto umido nella sede staccata di Cadino, da cui si ricava biogas. In vent'anni un graduale e costante percorso virtuoso che risponde – lo spiegano bene presidente e direttore di Bioenergia, Mario Giacomuzzi e Andrea Ventura – alla logica di un'”economia circolare, non lineare”. In pratica: nel bene e nel male ogni nostra azione nella gestione delle risorse ambientali ha un effetto boomerang, generando conseguenze negative o circoli virtuosi. Responsabilità è dunque la parola chiave, richiamata venerdì 19 luglio, anniversario della tragedia di Stava (rammentata sul palco da Carlo Dellasega, vicepresidente della Fondazione Stava 1985), in una serata arricchita dagli stimoli di ben sette voci diverse sotto l’unico titolo: “Tutto merita una seconda possibilità”.

“Qui – apre l'arcivescovo Lauro Tisi – la seconda possibilità non è un'ipotesi di lavoro ma è realtà. Ma non parliamo di calamità naturali. Vaia ha delle precise responsabilità umane e collettive: surriscaldamento della Terra e una gestione della nostra vita dove l’ambiente viene saccheggiato e strumentalizzato. Così Stava, non è stata una fatalità ma ha precise responsabilità: interesse economico, trascuratezza. E così il Cermis è esibizionismo, protagonismo, prova di forza per cui uno è nella misura in cui impatta l’aria”.

Dall’approccio etico-spirituale di don Lauro a quello scientifico del botanico Francesco Salamini (già presidente della Fondazione Edmund Mach), Marco Dalla Rosa (Docente all’università di Bologna) e Annapaola Rizzoli (Ricercatrice della Fondazione Mach), con quest’ultima che a proposito di circolarità esalta il concetto di “One Health”, “Una salute” a dire che l’uomo non è l’elemento dominante ma parte di un sistema strettamente correlato con gli animali e l’ambiente stesso. “Non l’uomo di fronte al creato ma parte di esso”, ribadisce don Lauro sottolineando indirettamente il tema dell’Enciclica “Laudato Si’”.

Sulla linea dell’Arcivescovo anche l’antropologo Annibale Salsa che ne condivide la critica all’impostazione razionale cartesiana (“penso dunque sono”). Se per monsignor Tisi va declinata in “mi relaziono, dunque sono”, Salsa sottolinea la “sfida della post-modernità”, ovvero la necessità di contrastare “la società che ha fatto del ‘No limits’, del superamento del limite un dogma. La montagna, lo diceva Goethe, è maestra del limite”. “La tradizione – aggiunge l’antropologo e già presidente del Cai – non contrasta con l’innovazione, altrimenti è passatismo, ma è innovazione riuscita. Come la Magnifica Comunità di Fiemme o l’esperienza di Bioenergia”, in una logica di “progresso non egocentrico ma a servizio della collettività”.

A pochi metri, a confermare con il suo impegno entusiasta di adolescente, la testimonial altoatesina Ariane Benedikter, premiata di recente dal Capo dello Stato Mattarella per il suo impegno ambientalista nel progetto Plant for the planet (alberi per il pianeta). “Non tutti – ha tranquillizzato la folta platea – devono essere ambasciatori ambientali, ma possiamo cambiare stile di vita nelle piccole cose: consumare prodotti stagionali e a chilometro zero, fare uso di mezzi pubblici, di sacchetti di stoffa al posto della plastica; limitare il consumo d’acqua, favorire la raccolta differenziata, non cambiare cellulare ogni anno. E magari comprare vestiti solo se li si indossa. Anche da qui si può fare la differenza”.

Nelle parole dell’arcivescovo Lauro, a conclusione del suo intervento d’apertura, l’ideale sintesi della serata: “Rispondere di sé è molto appagante. Dove c’è responsabilità c’è grandezza, capacità di mandare in onda parole abitate. La creazione è il luogo dello stupore, il luogo delle domande perché vi impari che tu non sei il tutto, ma che è bello essere frammenti, essere parte e non il tutto. Il mio è un inno al limite. E finiamola con la tentazione di camminare con uno specchio davanti e farci dettare l’agenda da uno schermo. Torniamo a interagire e parlarci”.

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