In questi “tempi feroci” non basta un samaritano

La Settimana dell’Accoglienza ci lascia in consegna scritta un richiamo severo, epocale.  Esce già  nel titolo del bruciante libro presentato  da Vincenzo Passerini,  promotore di un Trentino solidale: “Tempi feroci”.  Racconta di “vittime, carnefici, samaritani” (il sottotitolo)  degli ultimi due anni, ma la ferocia ha scritto già altre pagine in questi primi drammatici giorni d’ottobre missionario: il triste recupero a Lampedusa dei resti di donne e bambini in un naufragio cancellato due giorni dopo dai grandi giornali ma inciso nella pelle delle poche sopravvissute; la dichiarata agonia della minoranza curda, stritolata tra le milizie siriane e l’abbandono ad Erdogan nell’interesse di Trump e di Putin;  l’esodo degli indigeni dalle foreste amazzoniche, braccati da scelte economiche e politiche, che “gridano” all’apertura del Sinodo a Roma.

L’antologia delle riflessioni di Passerini non va a  comporre una geremiade di stagione, non esprime l’impotenza di una generazione delusa. Da vorace bibliotecario, l’ex presidente di Punto d’Incontro e CNCA documenta che anche il passato ha conosciuto stagioni feroci (con altrettante vittime e qualche samaritano, come Mayr Nusser, Jagerstatter  o la Rosa Bianca) e ci invita a non cadere nella rassegnazione (“sarà sempre così”),  parente stretta dell’indifferenza, per la quale “devono pensarci ben altri”’.

“Tempi feroci” esigono un fermarsi, un prendere posizione, un farsene carico. E non, come insegna la parabola da Gerusalemme a Gerico, un “passare oltre”.

Di samaritani che “soccorrono la vittime non perché glielo impone la legge o la religione, ma perché glielo impone la sua coscienza”, Passerini ne racconta più d’uno nei capitoli del libro.  Hanno talvolta anche un colore scuro della pelle, come quella del  gambiano Lamin Boiang,  venuto dalla Libia, ora testimone per il Centro Astalli o del bengalese Islam Hamidul, accolto in val di Non e qualficatosi come provetto saldatore,  grazie a corsi d’istruzione che sono investimenti reali sulle persone.

Ma le storie individuali nel libro di Passerini non sono le più significative, anche se confermano quanto la scelta di un singolo, o di una famiglia, può scuotere il gruppo. Le pagine migliori sono quelle che documentano  un paese, una scuola, un comprensorio intero che ha saputo farsi samaritano,  con le implicazioni di cui ha parlato Papa Francesco lo scorso 14 luglio: “essere capaci di avere compassione: questa è la chiave”.  Passerini ha riepilogato quanto si è mosso negli ultimi cinque anni attorno alle “canoniche aperte”,  esperienze narrate nelle pagine di Vita Trentina,  ha evidenziato le reti associative che si sono strette fra i volontari dell’accoglienza, ha messo in risalto i Comuni – come Mori  o  Caderzone – in cui chi ha una responsabilità amministrativa ha saputo trainare o accompagnare percorsi di accoglienza.

Per “tempi feroci”, non bastano samaritani da soli. La tenacia personale deve farsi mobilitazione, coscienza diffusa,  giustizia sociale e politica che mette al primo posto il fratello ferito. “E se invece di tre persone sole è un corteo che passa davanti alla vittima?” esemplifica Passerini. A proposito qualcuno ha osservato onestamente che giovedì 3 ottobre la marcia delle associazioni col vescovo e il sindaco nel ricordo delle vittime dell’immigrazione, avrebbe meritato una partecipazione più numerosa:  ci sono occasioni in cui l’esserci di persona aiuta a crescere, noi e gli altri. Perché – come  ha dimostrato l’indagine della Pastorale delle Migrazioni (vedi numero 37 di Vita Trentina) – l’accoglienza “cambia” le stesse comunità e forse aiuta a preparare tempi meno feroci.  E’ indifferibile perché, come ripete il vescovo Lauro, “sta dentro il Dna di un cristiano”.

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