Nuovi muri a 30 anni dalla caduta di quello di Berlino

Un tratto del muro di Berlino

Il decennio seguito al crollo del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, era stato definito come la “Belle epoque”. Sembrava davvero che da quel momento in poi il mondo avrebbe potuto essere più democratico, libero e giusto.

È stata poi la dissoluzione inaspettata e senza spargimento di sangue dell’Unione Sovietica, il successivo 26 dicembre 1991, a convincere quasi tutti che le relazioni internazionali sarebbero state contraddistinte da una duratura pace.

Anche l’economia cresceva come non mai. Sono gli anni di Bill Clinton, presidente americano, contrassegnati da un ciclo economico favorevole per oltre un decennio. Si pensava per davvero che la fine della contrapposizione dei due blocchi Est-Ovest avrebbe rafforzato le Nazioni Unite, portandole a trasformarsi in una specie di governo mondiale come sognato inutilmente dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Oggi, a trent’anni di distanza, il bilancio è invece molto amaro e contradditorio. Già all’inizio degli anni ’90 si manifestavano elementi che avrebbero portato alla fine del sogno. Gli Stati Uniti si trasformavano nel gendarme armato del mondo, a scapito delle Nazioni Unite. George Bush senior spediva infatti in Somalia circa 20.000 marines per porre fine alla guerra civile. Ai nostri giorni il conflitto in Somalia continua ancora a mietere vittime. Lo stesso Bill Clinton, anche se controvoglia, è poi intervenuto negli anni seguenti nel conflitto iugoslavo su richiesta degli europei, che non riuscivano a pacificare quel paese uscito in modo violento e frammentato dal regime comunista del Maresciallo Tito. Insomma, la “fine della storia” del politologo Francis Fukuyama, intesa come raggiungimento di relazioni internazionali stabili e pacifiche, stentava a farsi strada per almeno altri due motivi. Il primo è che la ex-Unione Sovietica veniva abbandonata a sé stessa e ai propri rivolgimenti interni, senza coinvolgerla per davvero nel “nuovo mondo” e all’interno delle istituzioni occidentali, a cominciare dalla Nato.

Il secondo nasce dalla previsione di un altro politologo americano, Samuel Huntigton, che nel 1993 scriveva il famosissimo saggio sullo scontro di civiltà, fra cultura occidentale e islamica. Pochi anni dopo, l’11 settembre del 2001 tale drammatica profezia si avvererà con l’abbattimento delle due torri di New York, le conseguenti guerre in medio Oriente e gli attentati terroristici in Europa e nel resto del mondo.

La “Belle Epoque” è definitivamente scomparsa. Passo dopo passo il mondo è diventato molto meno sicuro e complesso. La grande crisi economica e finanziaria del 2008 ha messo in crisi quello spirito di solidarietà e condivisione che sembrava essere nato agli inizi degli anni ’90. Si aggiunga il fenomeno delle massicce immigrazioni di questi ultimi anni a completare un quadro di ripiegamento delle persone e dei loro governanti su posizioni sempre più difensive. Prevale il senso di chiusura e di rifiuto della cooperazione fra gli stati e fra le stesse popolazioni. Le grandi illusioni di governo mondiale o regionale, come l’Unione Europea, cedono il passo di fronte all’emergere di spinte nazionaliste e sovraniste, che promettono di risolvere crisi economica e immigrazione con la costruzione di nuovi e insormontabili muri. Da quello di Trump al confine col Messico ai fili spinati in Ungheria, dal grande muro in Israele in funzione anti-palestinese alla chiusura dei nostri porti alle navi delle Ong, è tutto un crescere di barriere e incomprensioni. La stessa Germania, che ha dato l’esempio più clamoroso di abbattimento di un muro fisico, non è ancora riuscita a vincere quello politico e psicologico con i propri compatrioti dell’Est. L’impetuosa crescita in quelle regioni orientali di forze dichiaratamente nazionaliste e addirittura naziste è un ulteriore campanello d’allarme. Sembra assurdo dirlo a 30 anni di distanza dalla caduta del muro di Berlino, ma è proprio vero che gli uomini non imparano mai le lezioni della storia.

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