Emergenza neve dopo Vaia,anche la caccia va ripensata

I segni della tempesta Vaia in Primiero

Lo spunto

Quanta neve, e continua a nevicare. 

Il manto nevoso è alto, a 1500 metri, quasi un metro. La caccia agli ungulati è ancora aperta, specialmente a piccoli di capriolo e alle loro mamme … Idem dicesi per i cervi. 

Vista la situazione d’emergenza e constatata la riduzione di numeri di caprioli, un bel dí continuando così, rischiamo di restare senza! 

Se avessimo una esplosione demografica di detta specie, forse si potrebbe capire, ma purtroppo è proprio l’opposto.

Vista anche la quasi totale, assenza di mangiatoie ( vi invito ad andare a nord del Trentino per capire che foraggiare gli animali nei momenti di carestia e un’etica dei cacciatori ), le autorità preposte dovrebbero, a questo punto prendere posizione e chiudere la caccia alle specie in pericolo.

Così facendo, non si toglie niente a nessuno perché i caprioli e cerbiatti scappati all’aggressione subita restano nel bosco ( salvo che non muoiono di fame ) 

Che poi, un bel giorno non si dia la colpa al lupo. Per ora grazie a dio, il lupo non ha due gambe! La proposta è dunque quella di sospendere la caccia alle specie sopra menzionate e di foraggiare abbondantemente il territorio. Occorre a nostro avviso cambiare il sistema degli abbattimenti, riprendere censimenti mirati, fatti da personale giurato, sezione per sezione e creare sentieri di accesso ai luoghi di foraggiamento, con un “non” in bocca al lupo!

Una volta quando si abbattevano solo maschi di capriolo, c’erano caprioli dappertutto, le femmine erano prolifiche e molte, i piccoli crescevano ed erano tanti.

Ricordiamoci che ora le femmine di capriolo e di cervo sono per la maggior parte gravide. 

Fritz Ruppert  (67 Licenze di caccia) – Madonna di Campiglio – Giustino -Val Rendena

Le grandi nevicate di questi giorni fanno forse felici gli sciatori (anche se occorre fare attenzione che il manto nevoso si assesti prima di osare troppo) ma pongono problemi alla fauna, che scende in basso, oltre i boschi, che stenta a trovare foraggio sufficiente, che si indebolisce consumando un numero eccessivo di calorie nella fatica di avanzare nella neve.

Il “vecchio cacciatore” Fritz Ruppert solleva questi problemi, ed è auspicabile che le sue osservazioni, spesso critiche, trovino attenzione e portino a stabilire misure anche straordinarie. Perché, come ben avverte Ruppert, non ci sono solo i lupi (i cani che si sono moltiplicati ovunque, anche nelle vicinanze dei rifugi pongono problemi molto complessi alla gestione della fauna selvatica) mentre il sistema dei “prelievi” con l’eliminazione anche di femmine e bambi (quasi che la caccia non sia un presidio del territorio nella sua complessità, ma una sorta di operazione chirurgica) non da oggi solleva dubbi e forse richiederebbe un’applicazione non solo crudamente “scientifica”.

Dal canto suo il “foraggiamento”, a volte praticato nel corso degli inverni più duri, suscita intensi dibatti pro e contro, paragoni con le realtà vicine “a nord”, tanto da far pensare che lo scombussolamento stagionale cui stiamo assistendo meriti forse un “supplemento di inchiesta”. E’ proprio questo il punto. Con i mutamenti climatici sempre più accentuati, in presenza del ritorno dei grandi predatori (che presentano problemi ben diversi fra lupo e orso) con le difficoltà a controllare i proliferanti cinghiali, dopo questa emergenza Neve in una stagione così anticipata, dopo l’emergenza Vaia lo scorso anno, vale forse la pena fermarsi un attimo per ripensare la caccia e il ruolo dei cacciatori nel Trentino.

Perché prosegua l’autogestione con accresciuta responsabilità (come diceva Bruno Kessler è impensabile gestire la caccia mettendo un carabiniere dietro ogni pino!) ma al tempo stesso perché la caccia si radichi non solo come “prelievo” ma come componente di quella “cultura alpina”, fatta di equilibri e limiti, di libertà e responsabilità, come la voleva (la rappresentava, la praticava) Mario Rigoni Stern.

Una caccia non “mordi e fuggi”, una caccia non di spari in tuta mimetica, ma di supporto sostenibile a chi la montagna vive. Di presidio e controllo del territorio, di difesa anche quando necessario, nelle condizioni mutate. Tutto il nostro modo di vivere è alla vigilia di profondi e necessari cambiamenti culturali, negli di stili di vita e nei comportamenti. Anche l’alpinismo deve cambiare. E’ una sfida che merita di essere affrontata, iniziando a cambiare proprio dalle montagne e dai boschi.

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