Ritorno alla normalità? Ma è questa “normalità” il problema

I segni della tempesta Vaia in Primiero

“C’è un quadro di Klee che s’intitola ‘Angelus Novus‘. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Così scriveva tanto profeticamente quanto inascoltato Walter Benjamin nelle parole dedicate all’Angelus Novus di Paul Klee. Era il 1921, la prima guerra mondiale aveva cosparso di morte il pianeta, ma il peggio doveva ancora arrivare. Sarebbe diventato il secolo degli assassini.

angelus novus klee
L’Angelus Novus, opera di Paul Klee – foto Wikimedia.org

“Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe…”. Scomparsa delle biodiversità, scioglimento dei ghiacci, eventi meteorologici estremi, crescita demografica e distribuzione diseguale della ricchezza, abbandono della terra e land grabbing, invasione delle locuste e soffocamento nei rifiuti, nuove patologie… una catena di eventi o una sola catastrofe?

Pensiamo forse che l’insorgere del Covid-19 sia estraneo a tutto questo? Che la vita in agglomerati urbani di decine di milioni di persone in assenza di adeguate strutture sanitarie non abbia nulla a che fare con le mutazioni virali? Che il peso epidemiologico dell’inquinamento (PM 10 e PM 2,5) nella diffusione delle malattie polmonari non centri nulla?

Quello che sta avvenendo non è l’esito del caso, bensì di un modello di sviluppo insostenibile che ha pervaso il pianeta, fondato sul primato dell’uomo sulla natura e del mercato sulla vita delle persone. Che genera guerra e scarto. Che ha smarrito il senso del limite.

Michele Nardelli, ricercatore, dirigente politico e formatore. Il suo ultimo libro, scritto con Diego Cason, è “Il monito della ninfea”

Le parole di Francesco in quella Piazza San Pietro deserta mi hanno ricordato proprio il grido di dolore dell’Angelus Novus.

Sono ore di sofferenza e di inquietudine, appena confortate dal lavoro impagabile (e spesso scarsamente considerato) di tutti coloro che mettono a rischio la propria vita per salvare altre vite.

Si dice che nulla sarà più come prima. Ma per ricomporre l’infranto non dovremmo desiderare il ritorno alla “normalità”, perché è questa normalità il problema. Se l’umanità vuole darsi una nuova possibilità deve ascoltare il monito della ninfea, “che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell’intera superficie dello stagno la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all’imminenza della catastrofe”.

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