Come Noè dopo il diluvio, c’è una vigna da piantare

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I tralci ci donano la vita vera

I tralci ci donano la vita vera

Non è passato il diluvio. Non si vede ancora l’intero arcobaleno dei disegni colorati dai bambini, ma nella luce straordinaria di questa Pasqua 2020 – come invita l’arcivescovo Lauro (vedi pag. 13)- possiamo buttare l’àncora della speranza.

E’ molto di più di una tempesta passeggera, questa virulenta pandemia. Non la vediamo esaurita nella sua devastazione (con 318 vittime, ad oggi, in altrettante famiglie trentine) e nella sua diffusione planetaria che ha sommerso popolazioni peraltro già martoriate, tanto da far pensare appunto alle “alte acque” della Genesi.

L’immagine biblica è stata suggerita da Massimo Recalcati il giorno di Pasqua su “Repubblica”; il filosofo e psicanalista scrive che la nuova angoscia – dopo quella del contagio e dell’isolamento – “è quella della riapertura della vita in un tempo di inevitabile convivenza collettiva col male”, “un’apertura alla vita tanto necessaria, quanto incerta, fatalmente esposta al rischio”.

Attenzione, però, invece di cedere proprio adesso alla paura di fronte alla fase 2 in cui il virus resterà minaccioso, lo stesso Recalcati ci indica il nostro compito ricavandolo laicamente proprio da Noè, sopravvissuto al diluvio: saper piantare la vigna. “Le parti migliori di noi e del nostro Paese – spiega Recalcati – sono quelle che assomigliano a Noè; il “resto salvato” dalla distruzione, le forze positive che resistono alla devastazione del male. Ma nel nostro caso la vigna esige di essere piantata anche se attorno c’è ancora morte e distruzione. Non potrà accadere alla fine del diluvio, ma in una zona di transito, fatalmente incerta. È questa la durissima prova di realtà che questo trauma collettivo esige e che non si potrà rinviare”.

Abbiamo preso coraggio dal sepolcro vuoto e queste settimane fino alla Pentecoste sono provvidenziali per metter mano al nostro dovere di “piantare la vigna”.

Vuol dire, come ben sa l’agricoltore, studiare e preparare il terreno: ragionare sui macigni di dolore rimasti sul campo, bonificare dalle sterpaglie degli egoismi ancora più radicati e delle diseguaglianze inasprite, concimare con la rinnovata consapevolezza del “noi” comunitario, dopo aver toccato con mano che “nessuno si salva da solo” (papa Francesco in piazza San Pietro). E individuare una linea di crescita comune, rispettosa del giardino di Dio, la terra, e di ogni suoi guardiano.

Ne tengano conto i gruppi di esperti del governo e della Provincia (la ripartenza non deve badare solo all’economia ma anche alla promozione umana), ma anche i responsabili educativi e gli stessi sacerdoti invitati dal Vescovo (vedi pag. 12) ad un confronto a distanza su questo “nuovo inizio”.

“Piantare la vigna” per ognuno di noi è imporsi pazienza e umiltà, fiducia nella pioggia che cade dall’alto. Porta a liberarsi dalla presunzione d’onnipotenza dei fitofarmaci e della tecnocrazia. Invita a spogliarsi di effimere certezze per riconoscersi vulnerabili, sempre esposti al vento improvviso.

Al viticoltore si chiede anche di osare qualche innesto creativo (e in tanti lo abbiamo sperimentato in queste settimane), sia nell’uso del tempo che nella ricerca dell’essenziale. Ma l’atteggiamento più trasversale, emerso anche nel nostro numero pasquale, è l’attenzione costante nella potatura: la determinazione a sapersi prendere cura dell’altro (e degli altri), così come siamo stati portati a fare anche a distanza in queste giornate.

“La consapevolezza di essere in cura (e non in guerra) è una condizione fondamentale anche per il “dopo” – ha scritto il monaco di Bose Guido Dotti in uno dei testi più letti – il futuro sarà segnato da quanto saremo stati capaci di vivere in questi giorni più difficili, sarà determinato dalla nostra capacità di prevenzione e di cura, a cominciare dalla cura dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione”.

Sarà impegnativo ma anche entusiasmante predisporci a coltivare la vigna. Questa pianta, già dai tempi di Noè fra le più diffuse in tutto il mondo, è fra l’altro quella che poi ha offerto a Gesù anche l’immagine dei tralci che ci donano la vita vera.

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