La montagna c’è ancora, il Festival l’accompagna

Foto Gianni Zotta

Lo spunto

Qualche giorno fa, come Trento Film Festival, abbiamo comunicato ufficialmente le nuove date della 68/ma edizione della rassegna (vedi in questo numero a pag. 19, ndr) , accompagnando l’annuncio con una frase che racchiude il nostro attuale stato d’animo: “Il Trento Film Festival c’è!”.

Sì, anche quest’anno ci saremo, così come avviene ormai da 68 anni, anche se lo faremo con forme e narrazioni diverse, nel rispetto delle indicazioni previste per la “fase 2”. In questo senso mi ha particolarmente colpito il fatto che una frase dello stesso tenore, “Ci saremo, faremo di tutto per esserci”, è stata espressa anche dai gestori dei rifugi del Brenta riuniti in videoconferenza. Nonostante i necessari sacrifici, il fatto di continuare a presidiare un territorio di alta quota è fondamentale non solo per i motivi che abbiamo descritto prima, ma altresì perché attraverso i sentimenti che possono scaturire dalla frequentazione di un rifugio (il sacrificio per l’impegno fisico per raggiungerlo, l’ammirazione della bellezza dell’ambiente naturale che lo circonda, la scoperta del piacere del passo lento e la riappropriazione del tempo per riflettere con sé stessi e gli altri) aumenta in tutti noi la consapevolezza di quanto sia importante il rispetto e la tutela della natura di cui facciamo parte.

Da questo punto di vista, personalmente, trovo una grande similitudine tra i rifugi di montagna e il Trento Film Festival, perché anche la rassegna rappresenta, a suo modo, un presidio della montagna, un punto di riferimento e d’incontro per riflessioni sull’oggi e il domani delle “terre alte” . Per questo, così come i gestori dei rifugi, abbiamo detto “Il Trento Film Festival c’è”, per continuare a raccontare le culture di montagna, il senso del limite come ripensamento dei nostri modelli di vita e di sviluppo, il rapporto tra uomo e natura, da sempre focus della manifestazione e che, proprio in questo momento, sono diventati ancora più importanti.

Mauro Leveghi – Presidente Trento film Festival

Il Film Festival c’è, perché la Montagna c’è. Perché la montagna continua a esserci, come rivincita della natura sulle dissipazioni malsane che hanno contribuito alla pandemia del virus. C’è come promessa di libertà per chi è costretto a casa, e come segno di vita per chi può uscirne. Sono lontane le montagne. Non si possono raggiungere in questi giorni di reclusione (pesanti e però necessari, e non è il caso di fare come i polli di Renzo, che mentre venivano portati a chi li avrebbe cucinati in padella, continuavano a beccarsi fra loro), ma restano. Aspettano. L’erba sui pascoli diventa verde e i rododendri, sul Lagorai, si preparano a fiorire.

Anche il Film Festival c’è. Si sarebbe svolta proprio in questi giorni l’amata e tradizionale rassegna sulla vita e sulla cultura della montagna, con i libri, il Parco dei mestieri con Vita Trentina, gli incontri, i film sulle avventure e il volersi bene. La fatica anche, che poi è quella che spinge a salire, come ripete sempre il grande Kurt Diemberger, la fatica, che brucia le scorie dell’anima.

Manca il Festival. Ci sarebbe stata, in questi giorni, anche la mostra dei dipinti sul bosco e i fiori e i masi di Albino Rossi. Ci sono i film, che si possono vedere in casa, grazie alle tecnologie, ma non è la stessa cosa, e però vogliono dire che il Festival non è ricoverato in quarantena. Si pensa ad agosto-settembre, lo si prepara appoggiandolo sempre di più alla Montagna. Lo sottolinea il presidente Mauro Leveghi nella sua lettera, richiamando la grande lezioni che viene dai gestori dei rifugi, dalle guide alpine, vero e grande patrimonio della montagna trentina, di chi la abita, la lavora, la vive, della Sat e di tutte le migliaia di soci che la sostengono e la incoraggiano.

La montagna c’è: i rifugi restano aperti per chi ne cerca la libertà e per chi ne ha bisogno. La Sat soffrirà sì, ma saprà fare il suo dovere aiutando i rifugisti che soffriranno ancora di più, ma supereranno anche questa tormenta. Quante volte, in rifugio, non si è dormito in terra, “distanziati”, o non s’è mangiato un panino sulla panca fuori? Alcuni grandi “chef” hanno annunciato che proporranno panini “stellati” questa estate, per evitare sale affollate … beh, in rifugio i panini si sono sempre mangiati, e ciò, forse, servirà a rivedere certe distorsioni degli ultimi anni che poco alla volta stanno uccidendo la montagna. Il salone da pranzo “panoramico” (quanta ipocrisia!) da cento coperti ai Brentei sarà meglio ripensarlo vero? E i “coperti” (tutti hanno capito cosa c’è dietro) a Malga Lagorai che fanno “tria-molinèl” con gli impianti del Cermis pure, e così i megaconcerti in quota, che hanno fatto la loro stagione e la musica può anche tornare a nascere da un’armonica a bocca. La Montagna c’è, e il Festival l’accompagna.

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