“Sospesi”: voci dalla missione

Una barca in Togo (foto GIanni Zotta)

Spingersi oltre i confini del Trentino per allargare l’orizzonte schiacciato dalla pandemia e cogliere segni di speranza nel sentirsi parte di un cammino comune con chi fa della sua vita un dono agli altri.

L’ultima puntata del ciclo di incontri online “Sospesi”, curato da Piergiorgio Franceschini e disponibile sui siti diocesani e sul canale YouTube del Servizio Comunicazione diocesano, andata in onda il 28 maggio, ha compiuto un percorso “Dalla pandemia dell’infezione all’universalità della speranza”. Ospiti della tappa finale, don Costantino Malcotti, sacerdote trentino collegato dal Ciad, dove opera dal 2011, e due giovani che hanno vissuto l’esperienza estiva in missione: Francesca Bridi, assistente sociale di Mattarello che lavora in una comunità di recupero di tossicodipendenti, e Luca Bortuzzo, astrofisico di Rovereto. Ad arricchire l’incontro, la testimonianza di suor Esther Cusma, in collegamento da Lima.

“Per me che vivo nella savana è difficile avere notizie fresche – ha esordito don Costantino -. Finora sembra che la pandemia abbia colpito la capitale, a 500 km da dove abito, e si sia fermata li, e che il blocco delle frontiere dal 19 marzo in poi sia stato efficace, ma i test sono pochissimi e non si sa se le persone muoiono per malaria o Coronavirus. Le riunioni sono proibite perciò chiese, moschee e cappelle dei protestanti sono chiuse e non ci sono previsioni su una possibile ripresa. Il sistema sanitario è praticamente inesistente, un catechista ha avuto una frattura scomposta alla gamba ma non c’era un dottore in grado di curarlo: se questa frattura è un male incurabile, come si può pensare di curare chi è colpito dal virus?”.

A Pasqua ho avuto notizie da padre Celestino Miori – ha raccontato Bridi, rimasta in contatto con la missione che l’aveva ospitata in Mozambico -, era il periodo in cui si cominciava anche lì a chiudere tutto seguendo le regole adottate in Italia. La difficoltà maggiore è legata allo spiegare alle persone la necessità di restare a casa visto che la strada è la loro casa”. “Le ultime notizie dall’Etiopia le ho avute a Natale – ha detto Bortuzzo -, il Covid doveva ancora arrivare. Per lavoro, mi muovo molto in macchina perché vado nelle scuole per tenere laboratori di scienza, poi sono rimasto a casa, ma ho continuato a insegnare con la didattica on-line. Il 7 marzo, il giorno prima che chiudesse tutto, avevamo appena inaugurato la mostra “Fake. Fallimenti e inganni della visione umana”, è ancora lì, alle Gallerie di Piedicastello. Questo periodo mi lascia la voglia di ripartire e vivere le relazioni in modo meno distaccato, più sostenibile anche dal punto di vista ambientale”.

“Sono stata fortunata perché durante la quarantena ho continuato ad andare a lavorare – ha raccontato l’assistente sociale – e questo mi ha aiutata visto che le relazioni con amici e parenti si sono interrotte. È stato strano e faticoso vedere i nipoti che abitano a Caldonazzo solo in videochiamata, però potevo incontrare i colleghi e le persone che sono in comunità e ho festeggiato il compleanno con loro”.

Come far sì che la condivisione auspicata da Papa Francesco nel ribadire che nessuno si salva da solo non resti solo una dimensione legata all’emergenza? “Il Papa ripete cose note da tempo, che però non vogliamo considerare – ha sottolineato don Malcotti -: che siamo tutti sulla stessa barca l’abbiamo capito con la globalizzazione, basti pensare che quasi tutto il petrolio italiano viene dall’Africa. Diciamo: tutti a casa loro, ma   senza la manodopera straniera l’Italia si fermerebbe; sono gli stranieri che ci salvano e fanno crescere il Pil, ma non vogliamo renderci conto che l’Africa dà al nord molto più di quello che il nord dà al sud”.

“In missione ho fatto una reale esperienza di condivisione, con i miei compagni di gruppo e con il missionario e la comunità che ci ha accolti – ha ricordato Bridi -; mi è rimasto talmente dentro il senso di solidarietà e non giudizio che cerco di viverlo qui nella quotidianità dei piccoli gesti”. “Per condividere bisogna conoscere l’altro, chi sta o proviene dal Sud del mondo, e la cosa più mi ha colpito dell’esperienza in missione è stata la naturalezza e la semplicità della relazione con i bambini e i ragazzi”, ha aggiunto Bortuzzo. Come e dove riconoscere il soffio dello Spirito Santo in questa situazione di emergenza? “Dobbiamo chiedere la capacità di riconoscere la realtà per quello che è senza lasciarci ingannare da chi grida più forte e che lo Spirito ci porti alla conoscenza della verità – ha evidenziato il missionario -: ci siamo resi conto che quello che più ci è mancato sono le relazioni, a me è mancato incontrare le persone, essere con loro, ascoltare i loro problemi (le comunità dove celebra la Messa sono 39, ndr) e per me la scelta da fare sta nel rallentare le attività. L’Africa mi ha fatto capire il valore della pazienza: il più forte è la persona più paziente”. “Chiedo di mettere l’altro al centro e che lo Spirito illumini chi deve prendere decisioni politiche per il bene di tutti a farlo con competenza”, hanno concluso i due giovani, disposti a preferire spostamenti a piedi o in bicicletta e a modificare le proprie modalità organizzative.

 

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