Il legno di Adolf Vallazza, la carta di Bepi Pellegrinon

Adolf Vallazza tra le sue opere

Lo spunto

“Parto dal legno, dal tronco d’albero, ma per me il tronco è già una scultura … e quando lo scolpivo riuscivo solo a rovinarlo. Per questo nella mia produzione, a partire dagli anni Sessanta, utilizzo legni antichi, anche secolari, trovati nelle case contadine, quanto più vecchi tanto più belli. Sono legni che vengono dalle pareti delle stube, che hanno visto la storia, e da artista ti chiedi cosa possano aver sentito, quante generazioni, quanti secoli abbiano vissuto. Quelli che sono stati fuori sono corrosi, consumati. A volte sono mangiati dalle tarme. Altri legni mostrano buchi sulla superficie: sono i segni delle scarpe chiodate dei contadini che hanno camminato su di loro per anni e anni. Poi c’è il colore, anche quello cambia a seconda della loro vita. Ci sono i legni bluastri che hanno preso la pioggia, e quelli rossi che sono bruciati dal sole … voglio che il colore rimanga più naturale possibile.

Adolf Vallazza – Ortisei

La montagna – nella sua natura e nei suoi uomini – è stata colpita in questi anni da due profonde tempeste, due colpi pesantissimi in rapida successione come quelli che mettono ko anche il pugile più forte: un gancio con la sinistra e un montante con la destra. Sono stati il ciclone Vaia e l’epidemia del Coronavirus. Il primo ha spazzato via interi versanti di foresta, il secondo ha svuotato i monti della loro capacità di accoglienza e di lavoro. Ora la montagna cerca di riprendersi. Le ferite vengono poco a poco sanate e gli sforzi per riaprire rifugi, malghe e paesi si moltiplicano perché la montagna – come ricorda Annibale Salsa – torni ad essere cerniera di incontri e non barriera fra le genti, monito a rispettare la natura, a non violentarla.

Quasi in risposta a questi due colpi (“knockout – lockdown” si potrebbe dire) che insieme agli alberi hanno travolto le relazioni tattili fra le persone, sostituendole con tecnologie virtuali, due uomini ripropongono di tornare ad una realtà creata nella natura e plasmata dalle mani dell’uomo – al legno e alla carta – materie e matrici non solo d’arte, ma di vita.

Sono Adolf Vallazza lo scultore (è nato a Ortisei, dove vive, nel 1924) e Bepi Pellegrinon, alpinista di Falcade, nel Bellunese, davanti al Civetta, editore di “Nuovi Sentieri”, con libri che non si sono mai lasciati travolgere dal mercato, ma hanno tenuto alta la montagna nella sua proposta di libertà (e fatica) esistenziale più che nella conquista delle sue vette. Sono uomini “dentro” quella cultura interregionale dolomitica e ladina che costituisce il vero collante dell’identità anche autonomistica delle tre province di Bolzano, Trento e Belluno, uomini che fanno resistenza, con la carta e con il legno, alle dissipazioni del consumismo. Vallazza usa pezzi di legno scartato, che finirebbero nel fuoco, per rilanciare la regalità della condizione umana, attraverso i suoi “Troni”, Pellegrinon usa le pagine di carta dei libri come appigli per salire anche dove le rocce si fermano davanti al cielo.

La “resistenza” di Pellegrinon ai colpi della natura sconvolta sta in due libri d’arte (“la bellezza ci salverà”) dedicati ad Adolf Vallazza, che portano le date 2019 e 2020 in emblematica successione, e riguardano i “Troni” in legno dello scultore e i “Segni e sogni” che stanno nei disegni preparatori. I testi di commento vedono i nomi di Gabriella Belli, Aldo Gorfer, Giuseppe Marchiori, Vittorio Sgarbi, Eric Steingraeber e Paolo Vitti. Vallazza è uno dei maggiori artisti alpini e internazionali per la sua capacità di comporre e proiettare oggetti dimenticati (i tronchi bruciati dal sole, le assi bucate dai chiodi …) in esaltazioni di armonia totale, in realtà di trascendenza e nella rivendicazione (i troni regali!) di una nobiltà interiore degli uomini che supera le banalità rissose e gli egoismi meschini. I “Troni” portano nelle relazioni della convivenza sociale il respiro grande della naturalità da cui la loro materia – il legno – proviene e al tempo stesso lo proietta in una dimensione di tempo quasi eterno, che rinserra dentro di sé i destini ultimi della vita. Ecco perché proporre le opere di Vallazza in tempi di coronavirus non è solo fare arte, ma rivendicare una speranza, un coraggio di ricostruire una realtà nuova sugli scarti di quella vecchia. L’arte diventa attualità, anche politica.

Va ringraziato Bepi Pellegrinon per i due cataloghi che si pongono quasi come “breviari” per questi mesi di ritorno e riapertura ad una guardinga normalità. Nei commenti Gabriella Belli osserva come “i legni di Vallazza muovono profondamente lo spazio trascinando le potenti espressività della creatività con l’essenza e la vita del legno”. La materia – prosegue Gabriella Belli – “si fa presenza metafisica, intrisa della tradizione e della vita dei luoghi montani, espressione del mondo ladino con i suoi miti e leggende”. (E le leggende ladine non sono folklore, ma saghe sul destino, anche doloroso, della condizione umana). “Questi oggetti – commenta dal canto suo Vittorio Sgarbi – ricavati dalla mano dell’uomo, non servono a integrarne o innalzarne l’opera, ma per sostituirsi. I troni sono individui dotati di corpo e di anima: respirano, palpitano, vibrano. (…) salgono verso l’alto i troni, come edifici gotici, come vette. Indicano un’idea immanente di dio. E ognuno di loro contiene una parte del’anima di Vallazza. A ben guardarli i suoi troni, sempre più elaborati e vari, appaiono come persone con un loro carattere, un loro volto, un loro corpo, una loro autonomia. Una loro identità”. Siamo noi. Ciò che siamo e ciò che possiamo essere

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