L’Argentina di papa Francesco sotto il peso del debito

epa08431069 A woman with a mask is seen in the 31st neighborhood of the city of Buenos Aires, Argentina, 18 May 2020, one of the places with the most positive cases of COVID-19 in the country. EPA/Juan Ignacio Roncoroni

L’Argentina rischia un altro fallimento. Rispetto al default del 2001 con i tango-bond detenuti da tantissimi piccoli risparmiatori (anche italiani, anche trentini) che erano diventati carta straccia, o quasi, stavolta sono le grandi istituzioni a reggere il peso di un debito diventato insostenibile. Toccherebbe a loro aderire a una ristrutturazione soft del debito tale da non far pagare le conseguenze più nefaste alle fasce sociali più deboli dell’Argentina.

Un recente studio dell’Università cattolica di Buenos Aires denuncia che negli ultimi mesi gli indigenti sono aumentati del 40%. Pure se l’Argentina non è stata colpita in maniera devastante dalla pandemia (come invece nel Brasile del negazionista Bolsonaro) la situazione economica, questa sì, è devastante. L’inflazione è il principale nemico, nel 2019 è arrivata alla cifra record del 53%; e la scia inflazionistica continua imperterrita anche nei primi mesi del 2020. Il prezzo del latte, per dire, subisce aumenti del 10% a settimana -a settimana- così per lo zucchero e l’olio, la farina…

Negli anni più recenti del “kirchnerismo” (prima il presidente Nestor Kirchner poi la moglie Cristina) si tentava di arginare l’aumento dei prezzi con l’adeguamento degli stipendi e salari, ma la rincorsa ha portato un disastro di maggiore inflazione. Che oggi diventa una cosa insopportabile per tantissime famiglie soprattutto nelle grandi città. In campagna un po’ ci si difende perché i campi offrono qualche possibilità in più, ma ora incombe l’inverno australe e sarà dura.

Alla Casa Rosada (sede presidenziale) sono molto preoccupati. Il divario tra ricchi e poveri aumenta a dismisura, si è giunti ad una sorta di economia parallela con gli strati sociali più avvantaggiati – un’esigua minoranza – che usano pacificamente i dollari che non mancano a loro, mentre i settori più poveri, che sono poi la grandissima maggioranza, si arrabattano alla meglio con lo Stato che stampa moneta e questa che si svaluta e si scioglie (in valore e consistenza) come neve al sole.

Nelle villas miserias, le periferie cresciute in modo impensabile negli ultimi decenni, la situazione assume aspetti fuori controllo con crescita esponenziale di delinquenza, microcriminalità e prostituzione, ad un certo punto l’unico modo per non soccombere del tutto. Torna la stagione dei descamisados, persone prive di ogni speranza e, a differenza dell’epoca peronista, senza un amalgama in grado di riunire in un blocco sociale coeso e propositivo qualche milione di disperati. Basti pensare a quanto male fa l’inflazione anche sul mondo degli anziani, tenendo presente che il sistema pensionistico argentino li copre quasi completamente, è il più ampio e universalistico di tutto il Sudamerica. Ma se la pensione se la mangia l’inflazione c’è poco da gioire.

Staremo a vedere se le grandi istituzioni internazionali son capaci di compiere un atto di “buena fé”, di fiducia, non tanto nelle intenzioni della Casa Rosada quanto piuttosto nei confronti di un popolo stremato.

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