Stati Generali dell’Economia: la scena e la sostanza

Gli Stati Generali dell’Economia sono scena o sostanza? La battaglia per interpretare la “trovata” annunciata da Conte in solitaria è accesa: ci si divide fra i fan del premier (pochi) che ci leggono una coraggiosa decisione di chiamare le forze vive del paese a raccolta per la ripartenza e i critici (tanti) che la vedono come l’ennesimo cedimento alla ricerca di una politica-spettacolo.

A complicare il quadro è arrivato il piano della task force guidata da Colao, che non sembra abbia sollevato alcun entusiasmo a Palazzo Chigi e dintorni. E, per la verità, neppure altrove. Si consentirà al modesto, ma ormai vecchio osservatore della politica italiana che scrive queste note di osservare che era tutto prevedibile. Questa mania di mettere insieme carrozzoni con molti attori per produrre spettacolo alla fine non può che dare elenchi generali: roba che si poteva mettere insieme incaricando un bravo neolaureato di raccogliere insieme tutto quello che è stato scritto sui giornali in questi ultimi dieci anni.

Novità rilevanti nel documento di Colao non riusciamo a vederne. Altrettanto è scarsamente immaginabile che producano qualcosa degli Stati Generali che dovrebbero durare un bel po’ di giorni, raccogliere di tutto e di più, almeno per una comparsata (da Ursula von der Leyen a premi Nobel dell’economia e avanti di questo passo). Cosa vuoi che possano dirti più che buttare lì idee brillanti senza sapere come sono realizzabili in Italia, dove si deve tenere conto di “condizioni ambientali” (chiamiamole così) piuttosto peculiari?

Naturalmente Conte può essere partito da un’intuizione giusta: come faccio ad evitare che un piano di rinascita che dovrebbe poggiare su un bel po’ di miliardi europei finisca inceppato nelle piccole lotte che agitano una maggioranza con varie componenti in competizione fra loro? Si potrebbero dribblare i partiti facendo esprimere direttamente la struttura economico-sociale su cui poggia il paese in modo che così le forze politiche vengano condizionate da queste pronunce.

Per portare a termine un’impresa del genere occorrevano però delle capacità che Conte ha mostrato una volta di più di non possedere. Doveva essere in grado di imporsi come guida del procedimento, tenerlo sotto controllo, evitare l’effetto sceneggiata che non serve a nulla. Invece ha dovuto subito arrendersi alla reazione dei partiti che non hanno gradito il tentativo di emarginarli ed anzi hanno contrattaccato: vuoi in maniera plateale come Di Maio che si è subito fatto alla Farnesina i suoi inutili mini stati generali sull’export (per dirci che tutto dipende dalla comunicazione: figuriamoci!), vuoi in maniera più professionale come il PD che gli ha fatto rivedere il timing, con due riunioni preparatorie coi partiti e poi, con calma, la kermesse con inviti allargatissimi a Villa Pamphili (più persone entrano, più si fa confusione e meno si conclude).

Ma il punto principale non è neppure questo: è la freddezza, per non dire di peggio, con cui le classi dirigenti della società e dell’economia hanno accolto l’iniziativa. Non si è visto nessun entusiasmo nel rispondere al piano annunciato (gli inviti per ora non ci sono neppure), nessuna apertura di dibattito sul da farsi. Del resto le proposte che corrono sono più o meno le solite: vuoi che si sia contrari a dotare il paese di un sistema di comunicazioni efficiente? O ad una ripresa dell’occupazione, ad un miglioramento della ricerca e dell’istruzione, ad una semplificazione della burocrazia? E’ quando si scende sul concreto che si vede che sono le classiche buone intenzioni di cui è lastricata la via dell’inferno (che rischia di essere quello di una crisi economica senza precedenti).

Come si uscirà da questo impasse? Rinviando, perbacco, come è nelle nostre migliori tradizioni. Tanto il governo non si può cambiare, alle elezioni non si può andare, i soldi europei si deve far in modo di averli, poi si vedrà. Il problema è che proprio la disponibilità dei finanziamenti europei costringe ad arrivare a qualche conclusione, sicché ad un certo punto qualche decisione andrà presa. Gli strateghi da caminetto contano che tirandola per le lunghe alla fine i contendenti si sfiniscano e le scelte si possano fare approfittando della stanchezza generale. Il gioco è rischioso, non solo perché non è detto che funzioni, ma perché in ogni caso così si prendono decisioni poco utili.

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