Lo “scandalo” del rifugio Campel non sono solo i vandalismi

Il rifugio Campel sopra Villamontagna in un giorno, ormai lontano, di apertura

Lo “scandalo” del rifugio Campel (perché il vero scandalo più ancora dei vandalismi, fin troppo frequenti in una città che non riesce a mantenere puliti neppure i muri dei suoi palazzi, sta nella sua prolungata e rancorosa chiusura) potrebbe aprire l’elenco di tutte le carenze e le occasioni sprecate di un Trentino che sembra aver smarrito una misura di stile e sobrietà nell’accoglienza e nel suo paesaggio.

Il degrado, peraltro, non appare casuale. L’impressione è che certe iniziative di cosiddetta “valorizzazione” siano diventate ostaggio di interessi “furbi” (più che “forti”) per approfittare delle facilitazioni provinciali, delle leggi e dei contributi, o di megalomanie fuori scala, che si traducono in un boomerang per gli stessi che le promuovono.

Il Campel era una delle più belle passeggiate della collina di Trento, una delle più frequentate. Tale era la sua vocazione: meta di passeggiate, non autogrill di un posteggio, o terminale per feste e “movide” annoiate.

Al Campel si sono scontrate ambizioni, gelosie, piccoli interessi, conflitti di competenza, con il risultato di rompere quel simpatico, ma fragile presidio alpino, di spezzarne la magia, proprio come accade ai bambini quando smontano una loro macchinetta per giocare, senza poi riuscire a rimetterla insieme. Una frequentazione impoverita, dequalificata “automobilizzata” e quindi usa e getta, lascia sempre spazio ai vandalismi, frutto della noia.

Sempre, in natura e nella società, il vuoto viene riempito dalle trasgressioni.

Quando cade un grande albero al suo posto non ne cresce un altro, ma spuntano rovi ed erbacce. E in politica, se cade un impegno verso il bene comune non nascono “alternative”, ma subentra il populismo distruttivo e arrogante.E’ amaro parlare del Campel, nel Trentino, perché non è un caso isolato. Molti amministratori dovrebbero fare un profondo “mea culpa”.

Il rifugetto del Calisio, sull’altra parte della montagna, si presenta anch’esso in degrado. La cara locanda del lago di Santa Colomba, dopo i lavori che l’hanno “valorizzata” e snaturata, è chiusa. E comunque non piace più. Il Lago Santo di Cembra è vittima di interventi cosiddetti “ambientali” che rasentano lo stupro. Ne fanno fede immagini e interventi diffusi a livello nazionale, da parte di associazioni, università, gruppi culturali anche provinciali che confessano di “doversi vergognare di essere trentini”. Per non dire poi del Bondone, che si vorrebbe risanare con l’ormai mitica funivia, ma che ogni “valorizzazione” ha peggiorato, allontanandone la frequentazione: dallo stradone alle Viote, che trasmette un’immagine autostradale, non certo alpina, al piastrone asfaltato del parcheggio nella piana, sperando non arrivi il colpo di grazia del bacino artificiale .

C’è un comun denominatore in tutto questo, ed è la perdita di “misura” nelle scelte e negli interventi. Il non capire che, anche turisticamente, ogni ambiente ha una sua vocazione. Che non si può tradire. C’è solo da sperare si possa imparare dagli errori passati e che il Campel torni ad essere un luogo di incontri cordiali, come merita di essere.

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