La Fogolino chiude. “Ma non se ne perda lo spirito”

Adriano Fracalossi alla presentazione di una delle ultime mostre ospitate dalla Galleria Fogolino.

È triste entrare nella Galleria Fogolino dalla serranda abbassata a metà e trovare le opere d’arte, appoggiate alle pareti, in attesa di essere imballate. Lo scorso 30 giugno il mondo dell’arte trentina ha perso uno dei suoi punti di riferimento: la storica Galleria di via Santissima Trinità (ospitata in un locale del Capitolo della Cattedrale) ha chiuso i battenti dopo oltre 50 anni di attività, tramandata dal fondatore, Mariano Fracalossi, al figlio Adriano. Entrambi artisti ma anche interpreti di un ruolo raro, di promozione e divulgazione di un’arte che allora era centrale nella vita e nella cultura cittadina.

Lei, Adriano, in questo luogo si è mosso fin da bambino. Che clima si respirava alla Fogolino nei primi anni?

La Galleria è nata nel 1966, io sono del ‘58 quindi ho solo vaghi ricordi dello spazio originale di Palazzo Sardagna, al piano terra, con il soffitto affrescato dal Fogolino, da cui il nome. Ho cominciato a inserirmi alla fine degli anni ‘70, stampando acqueforti per conto di mio padre. Rispetto ad oggi il clima era molto più vivo, c’era molto più passaggio sia di artisti che di pubblico. Era un altro periodo e le gallerie erano più centrali rispetto alla vita cittadina. La Fogolino era un ambiente di cultura, di incontro e di dibattito, mentre adesso la gente passa per le inaugurazioni e poco altro.

I meno giovani ricordano gli artisti cattolici dell’UCAI, gli amici de “La Cerchia”, ma anche le visite di appassionati e curiosi. A dare questa impostazione è stato suo padre Mariano…

La figura centrale era la sua, io ho sempre preferito stare dietro le quinte, con un ruolo più artigianale rispetto a quello dell’organizzatore o dell’operatore culturale. Papà invece operava a tutto campo, gli piaceva dipingere ma anche intervenire sulle tematiche del momento, penso ad esempio alla nascita del Mart e al dibattito di allora. Anche prima della Galleria aveva avuto esperienze nell’organizzazione di mostre, aveva fiducia, era una persona fondamentalmente ottimista, pensava di poter incidere in qualche modo nella cultura e nella società attraverso la Galleria e l’arte. Un concetto che adesso si è un po’ perso…

Il fondatore Mariano Fracalossi, morto nel 2004, in una foto d’archivio di Gianni Zotta del 1979.

Ma all’arte trentina un punto di riferimento così però servirebbe ancora…

Certamente, restano solo alcune gallerie che rispetto moltissimo però mi sembrano un po’ troppo di nicchia, senza l’interazione con la città e quel rapporto aperto con tutti che aveva la Galleria Fogolino. Quando ho fatto il discorso il giorno della chiusura ho sottolineato come questa fosse una galleria popolare, che proponeva un rapporto trasversale con i vari linguaggi artistici. Ci si poteva trovare la veduta di Trento ed opere più raffinate o complesse, entrambe possibilmente ben fatte. C’era un’esigenza di comunicare che è rimasta fino alla fine.

I giovani artisti oggi uno spazio come questo dove lo trovano? O forse cambiando i mezzi di comunicazione non è più necessario?

Non lo so. Al momento resta una parte dell’arte trentina senza uno spazio di riferimento, poi c’è stata una forte evoluzione del linguaggio e anche Trento è molto cambiata: un tempo nonostante fosse una piccola città aveva un giro di artisti ben radicato, adesso il bisogno e la facilità di scambio con l’esterno hanno portato ad una spinta più centrifuga, gli artisti anche giovani tendono ad andare fuori e quindi in città i legami diventano frammentari.

Come dovrebbe cambiare l’approccio a questi spazi per renderli attuali e soprattutto sostenibili?

Il problema è che non c’è più quella clientela che sosteneva economicamente questi spazi, adesso l’oggetto d’arte ha perso il valore e il ruolo che aveva presso la media borghesia, la gente spende di più per i viaggi o per altre cose e gli acquisti sono pochi rispetto ai costi. Ci vorrebbe un ragionamento lungimirante. Ho provato a sondare alcuni artisti per tenere la Galleria aperta solo come spazio espositivo, non commerciale, ma alla fine eravamo troppo pochi rispetto all’impegno economico. Secondo me hanno perso un’occasione.

In questi giorni tanti hanno manifestato il loro dispiacere per la chiusura, cosa spera per il futuro di questo spazio?

L’attenzione ricevuta mi ha fatto certamente piacere, sapevo di avere una clientela affezionata. Ora dovrebbe subentrare un gruppo di giovani che vorrebbe mantenere la possibilità di esporre, anche se sarà un’altra cosa un po’ ibrida, ma è giusto provare nuove strade. A me piacerebbe che rimanesse uno spazio espositivo, un centro in grado di proporre eventi culturali, perché la società ha bisogno di questi spazi. Che si chiami Fogolino o con un altro nome l’importante è che mantenga quello spirito.

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