La lezione di Stava, Walter Micheli nel 20esimo anniversario: “Tutelare il territorio, a costo di essere impopolari”

Walter Micheli (1944-2008)

Nell’anniversario dei 35 anni della strage di Stava (19 luglio 1985), riproponiamo questa intervista a Walter Micheli, pubblicata sul n. 30/2005 di Vita Trentina.

Walter Micheli (1944-2008), socialista, vicino al mondo del lavoro, attento ai temi ambientali, fu assessore provinciale del Trentino dal 1985 al 1994 e vice presidente della Provincia, padre della legge provinciale sui Parchi (1988) e del “Progettone”. Dopo anni all’opposizione, assunse responsabilità di governo proprio nella difficile stagione in cui l’autonomia trentina, travolta e umiliata dalla catastrofe di Stava, era scossa dalle fondamenta.

“Lezione tradita”

La stagione del dopo Stava secondo Walter Micheli

Di quel 19 luglio ha fissato ricordi precisi: una notizia “impossibile” arrivata a Trento in una giornata torrida, il clima surreale del palazzo della Provincia dalle stanze vuote presidiate da uscieri straniti, l’affannosa ricerca di informazioni su quei bacini che neppure figuravano sulle carte.

Walter Micheli, all’epoca consigliere provinciale all’opposizione eletto nelle liste del Psi, accoglie di buon grado l’invito a parlare della stagione di impegno civile che seguì alla strage di Stava. Ma lo fa con l’amarezza di chi constata che “oggi il trauma è stato elaborato attraverso le celebrazioni”, mentre avverte che “la stagione che avrebbe un gran bisogno di essere riavviata dovrebbe nascere da una nuova coscienza etica della responsabilità. Quella che ti fa dire di no a certe iniziative, a certe pressioni, che ti fa avere anche il dovere dell’impopolarità, la consapevolezza di una responsabilità educativa”. E invece “è difficile intravedere nella coerenza quotidiana questa stella polare”, dice Micheli, condividendo in pieno l’allarme espresso su queste pagine dal giudice Carlo Ancona: “Dopo Stava tutti cominciarono a parlare di salvaguardia del territorio. Peraltro adesso mi pare che questa cultura si stia di nuovo attutendo”.

Prima di Stava, osserva Micheli, c’erano stati parecchi campanelli di allarme, peraltro inascoltati. Nella zona del porfido, alle Grigne, sopra Lases, c’erano stati crolli. In val di Fassa, proprio pochi giorni prima del crollo dei bacini di Prestavel, la giunta provinciale, contro il parere della commissione urbanistica provinciale, aveva concesso aree di edificazione a Mazzin e a Campostrin in zone a rischio(furono poi travolte dall’esondazione del rio Udai, nel 1987). Dopo Stava, è sembrato che il Trentino si mettesse sul binario giusto. “Stava – dice Micheli – ha lasciato un trauma profondo nella comunità trentina, aprendo però una stagione fertile, caratterizzata da una voglia di riscatto, dalla volontà di ricostruire il credito che il Trentino aveva perso nei confronti del resto d’Italia e, soprattutto, direi, nei confronti di se stesso”. Quella stagione, che Micheli visse in prima fila, da assessore all’ambiente, produsse provvedimenti e leggi all’avanguardia in campo urbanistico e ambientale: il nuovo piano urbanistico provinciale, la legge di valutazione d’impatto ambientale, la legge sui parchi… “Mi pare però che diventi sempre più evidente che non bastano le buone leggi, se non diventano cultura partecipata di una comunità. Finiscono per diventare sterili, perdono la loro forza propulsiva. E difatti oggi queste leggi non sono più sufficienti a tutelare l’interesse generale della comunità rispetto a una pressione sempre più forte di lobbies economiche e anche, possiamo e dobbiamo dirlo, di lobbies di valle, di corporazioni”. Quasi che la tenuta del sistema trentino – “e direi anche alpino” – potesse essere dato dalla sommatoria degli interessi dei 223 comuni, piuttosto che da una compatibilità generale. Quello che è possibile o compatibile dentro la dimensione di un comune, ragiona Micheli, non lo è più se commisurato alla dimensione di una valle: “L’abbiamo visto anche nei giorni scorsi: se c’è uno svaso improvvido al Tonale, arriva fino a S. Giustina”.

Oggi non c’è alcuna iniziativa che non venga presentata senza sottolineare la sua compatibilità ambientale. Eppure, al richiamo del procuratore della Repubblica di Trento, Stefano Dragone, che ha parlato di “sfruttamento selvaggio” in valle di Cembra per l’estrazione del porfido, le reazioni sono state di insofferenza, da parte di chi ha la responsabilità del governo provinciale, o di contrapposizione frontale, da parte degli operatori del settore. “E’ una reazione che colpisce – dice Micheli – perché gli elementi di allarme, nel settore del porfido, anche dopo Stava, sono stati continui”.

Nel 1987, due anni dopo Stava, c’è stata la frana del Graon, lungo le sponde dell’Avisio. Più di recente, la frana dello Slavinacc, sopra Lona-Lases. Accadimenti che, fino ad oggi, “in maniera provvidenziale”, dice Micheli, non hanno provocato vittime: “Ma hanno comunque sempre scaricato sull’ente pubblico i costi di una gestione scriteriata, legata a interessi di carattere privatistico”. Esempi di “insipienza umana” (per riprendere le parole con cui Giovanni Paolo II, nella sua visita a Stava il 17 luglio 1988, si riferì alle cause di quella tragedia).

Il problema, per Micheli, è che la sicurezza delle persone e delle cose non può mai essere delegata a pressioni di carattere privatistico: “E’ qui il nocciolo attualissimo della lezione di Stava”. Ma anche il suo travisamento, avverte Micheli: “Quando, in tempi recenti, la giunta provinciale ha deciso di ricostruire gli impianti della val della Mite, sopra Pejo, dove le valanghe avevano portato via tralicci e impianti, affidando ai gestori degli impianti la tutela della sicurezza, io credo che si sia compiuto uno strappo che è stato scarsamente percepito dall’opinione pubblica. Non è possibile lasciare la gestione della sicurezza della vita dei cittadini a decisioni che comunque sono sempre fortemente condizionati da interessi privatistici, economici, di immagine”.

Guai allora, dice Micheli, a ridurre Stava a una dimensione liturgica, a farne un simulacro della memoria. Va recuperato invece il senso della misura, espresso nelle carte di regola, che ha garantito alle più piccole comunità di valle una speranza di futuro. Così come va ricostruito quel senso della comunità che sa vedere l’insieme, non il particolare: perché “singolarmente, quasi ogni provvedimento può essere giustificato; ma è la sommatoria degli interventi che mi fa stramazzare l’asino, che sarebbe il territorio”.

Se Stava aveva posto in maniera traumatica il problema di ritrovare criteri di gestione di una risorsa ambientale particolarmente fragile come quella trentina e norme per garantire il controllo e la tutela, oggi che il trauma è stato elaborato attraverso le celebrazioni non si può accettare che la tutela del territorio finisca per essere delegata alla magistratura: “Non c’è motivo di essere fieri – conclude Micheli – se la magistratura deve supplire alle funzioni della politica. Sarebbe l’abdicazione della politica”.

(da Vita Trentina n. 30/2005 del 24 luglio 2005)

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