La scelta del contadino

Anche oggi Gesù ci parla con parole di… agricoltore! Racconta di un contadino che possiede un campo in cui crescono insieme piante buone ed erbacce cattive. I suoi collaboratori più zelanti vorrebbero estirpare le erbacce, ma lui dice di lasciarle crescere, perché verranno riconosciute e separate al momento giusto. Io vedo questa come una grande possibilità di vita e conversione che Dio dona a tutti. Non prevale il nostro giudizio frettoloso, ma la sua grande pazienza. (l.m.)

Domenica 19 luglio – XVI° domenica anno A

Sap 12, 13. 16-19; Sal. 85; Rm 8, 26-27; Mt 13, 24-43

Il Vangelo di Matteo (13,24-30) ci presenta anche in questa domenica un agricoltore che potremmo definire «strano».

Gli operai gli chiedono di estirpare dal suo campo le erbacce, cresciute insieme al grano, ma lui lo proibisce, «perché non succeda che cogliendo la zizzania» con essa sradichino anche il grano. L’agricoltore non si era preoccupato di seminare abbondantemente anche su terreni poco adatti o addirittura sterili; ora lascia che grano ed erbacce crescano insieme fino alla mietitura.

Sarà quello il tempo opportuno per operare la separazione: allora il grano sarà raccolto nei granai e la zizzania sarà bruciata. Per cercare di comprendere le motivazioni che spingono il contadino a questa scelta, è importante chiedersi cosa rappresenti quel campo. Subito saremmo portati a rispondere che rappresenta il mondo, dove accanto a situazioni e atteggiamenti positivi si incontrano fenomeni decisamente negativi. Ne abbiamo un esempio anche in questi nostri giorni. Abbiamo assistito ad atti di grande disponibilità e altruismo da parte di medici, infermieri, operatori sanitari, volontari, sacerdoti nel periodo di massima allerta per la pandemia. Era ben visibile una solidarietà che nemmeno sapevamo immaginare. Ma insieme ci siamo imbattuti nelle solite fragilità e talvolta in un arrogante egoismo.

Magari abbiamo sperato anche noi in un intervento straordinario di Dio per sradicare ogni erba cattiva, per lasciar crescere solo il buon grano. Magari abbiamo sperato che qualche servo impaziente e zelante intervenisse con decisione a far pulizia. Il rischio però è di incorrere nella intolleranza e nel fanatismo, in comportamenti che obbligano gli altri a cambiare, «persino a pensare e a vivere come pensa e vive il fanatico intollerante». (J.M.Castillo) Gesù vuol far capire che la determinazione a sradicare a tutti i costi il male, porta a danneggiare anche il bene. Occorre invece tollerare la presenza del buono e del cattivo, come Dio la tollera, facendo sorgere il suo sole e piovere sui giusti e sugli ingiusti, (cfr. Mt 5,45) rispettando la libertà degli uomini. Il campo rappresenta anche noi stessi. Ciascuno di noi è un insieme di grano e zizzania. E la parabola ci invita ad «accettare l’ambiguità che c’è dentro di noi, a saper vivere nella debolezza senza interrompere ciò nonostante il cammino, a prendere coscienza che mai saremo le persone che abbiamo sognato, un militante puro e duro», perché questo «è il modo di essere uomini e anche credenti». (MichaelDavide Semeraro)

Infine il campo raffigura anche la Chiesa. Le erbacce non ci sono solo fuori di essa, nel mondo, ma anche al suo interno. Ed è possibile imbattersi in chi vorrebbe fare subito chiarezza, individuare senza possibilità di errore dove sta il bene e dove il male, condannando i peccatori senza troppi indugi. Ma è un errore essere servi impazienti, pronti a condannare, senza saper attendere. Questa parabola racconta proprio di due sguardi, quello di chi vede soprattutto le erbacce, e quello di Gesù, che si fissa soprattutto sul buon grano. L’invito per il credente, soprattutto per chi ha responsabilità, è quello di assumere lo sguardo stesso del Creatore che lascia «che l’una e l’altro crescano insieme», che non vuole comunità di eletti (di perfetti) che hanno fretta di anticipare il giudizio stesso di Dio. E l’invito è anche per tutti gli uomini continuamente tentati anche oggi di cercare e coltivare un campo dove siano estirpate imperfezioni di vario tipo: di razza, di cultura, di religione, dividendo il mondo con mura invalicabili.

Nelle nostre comunità sappiamo accettare il limite e la fragilità per essere più umani? Abbiamo lo sguardo di Dio, che sa attendere, o abbiamo fretta di eliminare chi non riteniamo far parte del grano buono? Ci lasciamo sorprendere dal dubbio che magari il nostro giudizio sia sbagliato?

 

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