Recovery Fund, adesso viene il bello

La prima pagina di La Repubblica sull’accordo europeo sul Recovery Fund

Il vertice di Bruxelles si è concluso sostanzialmente come ci si era aspettati: i finanziamenti europei ci saranno in misura cospicua, i controlli anche, ma senza poteri di veto per un singolo paese, i frugali avranno sconti sulle quote che versano all’Unione per il bilancio. Sconfitta sostanziale per i Pierini dei piccoli paesi che non avevano capito che 5 a 22 non li avrebbe portati a gran che, a meno che non avessero deciso di far saltare l’edificio, ma restando poi sotto le sue macerie.

Tutto bene per l’Italia? Sì e no, la partita decisiva si gioca da adesso in avanti. Intanto le condizionalità ci sono, come era da aspettarsi. Non sappiamo se sia davvero una grande vittoria affidare alla Commissione il controllo sull’effettivo rispetto dei piani per cui si otterranno i finanziamenti, perché su questo si glissa un po’ troppo. I soldi non arrivano con una finalità generica, come sarebbe stato per i fondi del MES che Conte si ostina a non volere per puro tatticismo politico. Per avere i finanziamenti, fondo perduto o prestiti che siano, bisogna presentare piani dettagliati e farli approvare dalla Commissione e già non sarà un passaggio banale, ma poi i quattrini arriveranno per tappe e qui non c’è da scherzare: bisogna essere in grado di mostrare che si spende e si va avanti bene.

La Commissione è un organo meno soggetto ai condizionamenti delle opinioni pubbliche nazionali come sono i membri del Consiglio Europeo, che peraltro si sono conservati un certo potere di intromissione sia pure a maggioranza qualificata, ma è anche un organo con competenze tecniche notevoli e anche con un suo approccio culturale che non è detto sia proprio quello che si aspettano alcune componenti dell’attuale maggioranza di governo.

Dunque adesso Conte, per quanto reduce da una vittoria di immagine che non sarebbe giusto sottovalutare, deve essere in grado di piegare la marea di lobby che hanno fatto il nido nel sistema politico italiano, a cominciare da quelle che stanno nei partiti della sua maggioranza, convincendole che questa volta bisogna fare sul serio. Quelli che ci hanno sostenuto nella battaglia di Bruxelles non hanno alcuna intenzione di perdere la faccia facendosi accusare di aver dato soldi a delle cicale incapaci di usarli se non per assistenzialismo variamente mascherato. Ma questo apre un fronte interno che si deve avere presente: la domanda nel paese perché i fondi europei servano più che altro per “salvare il mondo di ieri” è forte ed ha solide sponde sia politico-parlamentari che sociali.

La situazione politica interna non è cambiata, al di là del sostegno, più o meno di facciata, che quasi tutti (eccezione Salvini, che non si sa quanto su questo rappresenti tutta la Lega) hanno offerto al governo impiegato nella battaglia europea. Adesso però che quella fase si è chiusa, si apre la nuova che prevede che fare dei fondi che arriveranno da Bruxelles. Innanzitutto c’è la domanda del quando arriveranno: si prevede non prima di metà 2021, pur restando possibile qualche accelerazione. Si potrebbero intanto utilizzare i fondi MES subito disponibili e senza neppure condizionalità: non servono piani da sottoporre ad approvazione, basta spenderli per la sanità. Ma Conte, in omaggio alla stupidità grillina e timoroso dell’opposizione di Lega e FdI, ha già detto che con quanto approvato a Bruxelles la questione si ridimensiona. Una volta di più se avesse pensato prima di aprir bocca, sarebbe stato meglio, perché la faccenda non sta in quei termini.

Comunque sia, proprio il problema di chi metterà le mani sulla gestione del tesoro che dovrebbe arrivarci dalla UE rilancerà la lotta politica. Il tema di non finire sotto inchiesta europea per incapacità di fare piani adeguati e di implementarli bene è presente, eccome: i gruppi dirigenti responsabili del paese se lo porranno e questo significa chiedersi se questo governo con questa maggioranza sia in grado di assolvere un compito tanto arduo. Non dimentichiamoci che si tratta anche di ridurre alla ragione componenti potenti del sistema: pensiamo allo stallo nella riforma della giustizia e in quella della burocrazia, ma aggiungiamoci, tanto per fare un altro esempio, al rapporto fra stato e regioni. Non è roba che si possa risolvere a colpi di DPCM.

Probabilmente l’estate sarà complice una volta di più a rimandare tutto a settembre. Ma poi settembre arriverà.

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