La cooperazione trentina non deve, e non può, dividersi

La presidente uscente Marina Mattarei ha detto di pensare a “scenari alternativi”

“Coop, venti di scissione”, titola “l’Adige” in prima pagina domenica 2 agosto, dopo l’elezione del presidente della Federazione della Cooperazione Roberto Simoni, al primo turno, senza ballottaggio, con il 52 per cento dei voti. Il sottotitolo riporta l’atteggiamento della presidente uscente Marina Mattarei: “Serve un’altra rappresentanza”. “Per Mattarei l’elezione di Simoni – specifica poi il giornale – non basta a raggiungere l’unità” (che Simoni s’è impegnato a perseguire) e i cooperatori che non si sentono rappresentati “potrebbero cercare un’altra strada”. Pesa che i giovani non abbiano ottenuto una rappresentanza. Ma mi domando cosa stia avvenendo.

L’elezione è stata molto partecipata e le maggioranze qualcosa pur significano. Stanno saltando le regole del confronto democratico nel Trentino?

Giuliano Colpi – Trento

Caro Colpi, lei ha ragione su un punto innanzitutto. La reazione al voto sulla presidenza di via Segantini non riguarda solo la Cooperazione, ma tutto il Trentino.

Se non si è più d’accordo sulle regole, l’autonomia (e l’economia) diventano una giungla confusa e insidiosa. Ma a ben vedere non è che per i commenti della past-president Mattarei “salti” la democrazia , anche se è sempre più difficile riconoscere a questa nostra terra uno stile che la rendeva amata, e anche un po’ invidiata.

E’che, come spesso accade anche nei nostri paesi, ogni tanto qualche giocatore si alza dal tavolo e dice: “Allora non gioco più”. E’ un’impazienza un po’ immatura che viene spesso da una delusione, raramente da una prepotenza. L’unica cosa da fare è pazientare e rendersi contro che chi vuole dividere finisce sempre per aver torto (anche se non privo di qualche ragione) e trascina chi lo segue in un gioco perdente. Nell’antico greco dividere si dice “dia-ballo”, dal significato più che eloquente.

Non è il caso peraltro di fare moralismi, ma di riflettere su alcuni spunti che queste elezioni offrono. In primo luogo si è andati ad eleggere un “presidente”, non un governatore, o un “boss”, ma il presidente di una Federazione composita e complessa che vive tutte le pressioni e le concorrenze di un mondo sempre più difficile e aggressivo, dominato da poteri forti, tecnologie monopolistiche, credito “pigliatutto” (basta guardare a ciò che accade nelle banche, se le Rurali non si fossero unite e tutelate che fine farebbero?) alle multinazionali del commercio.

Si tratta ora di presiedere a questa complessità, impostando nuove occasioni di lavoro e difendendo al tempo stesso un patrimonio generazionale.

I giovani, certo, sono il futuro e la Cooperazione è fatta per loro, è l’unica realtà economica che non venda il patrimonio dei padri, ma lo trasmetta alle future generazioni. Ma i giovani, prima di ambire alla stanza dei bottoni, come è sempre accaduto, possono e devono dimostrare con vigore ciò che sanno fare; in altre parole, non essere cooptati, ma diventare protagonisti in prima persona nel loro lavoro (come già molti fanno) e nelle comunità, nel reagire al saccheggio ambientale, nelle amministrazioni comunali, nei presidi sociali. Sono bravissimi i giovani, ma esserlo, come ben sa chi lo è stato, non è una qualifica. Ed oggi occorre riprendere un “corso” di responsabilità per prepararsi a gestioni e impegni. Quanto vuoto di presenze nei nostri paesi (e nelle città) a tutti i livelli, e tocca ai giovani non solo riempirle, ma rivendicarle. E così per le donne, fondamentali, e dalla presenza sempre più necessaria, ma la politica (e non solo) di questi anni ha mostrato in alcuni casi che anch’esse possono essere divisive tanto quanto gli uomini. E’ necessario avere donne nei posti di responsabilità, non riempire caselline di genere.

C’è un altro punto che merita approfondire, ed è che parlare di “scenari alternativi” e “cercare un’altra strada” è innanzitutto far torto ai tre candidati alla presidenza, che si sono messi in gioco non per vincere, ma per dare qualcosa di sé alla Cooperazione. Ognuno ha alle spalle un percorso di impegni difficili. Simoni può rivendicare il risanamento del Sait, impoverito (per tante ragioni) anche dalle cooperative dissidenti che se ne sono andate, ed anche blandite per andarsene.

Girardi ha risanato Lavis, la splendida cantina portata alla crisi dagli stessi che l’avevano portata al successo per incapacità di trovare una misura, di fermarsi. Una grande lezione: la crisi e il risanamento. E Gios, uomo d’università e di valle, vero maestro di cultura alpina, pratico realizzatore (e risanatore della Cassa Rurale di Rovereto, anch’essa vittima di passi più lunghi della gamba) sapeva benissimo, come lo sapevano tutti, che la sua candidatura veniva gettata nel confronto per “sparigliare” il voto, ma aveva accettato lo stesso, per dire “ci sono”, so che non vincerò, ma ci sono. Sono e resto un uomo di cooperazione.

Per questo ognuno dei tre candidati porta con se elementi capaci di rendere più forte la Cooperazione. Sono queste esperienze che bisogna unire e su queste andrà misurato il nuovo presidente. Non sulle divisioni. Il Trentino non ne ha davvero bisogno.

vitaTrentina

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