Quella croce portata a spalle sullo Stivo

Una foto storica dell’innalzamento della croce sullo Stivo

Due anni fa appariva su Vita Trentina  un appello a comunicare eventuali informazioni per risalire alla storia della croce collocata sul monte Stivo il 17 settembre 1933. Non ebbe riscontri, ma l’autore di quell’appello, Mariano Veronesi, non si scoraggiò e pochi giorni fa ha dato alle stampe un volumetto in cui ricostruisce non solo l’ideazione ma anche le vicende storiche di quella croce.

“L’idea è nata da una fotografia, mentre sfogliavo un vecchio album di famiglia, ma su quella croce le notizie sui giornali dell’epoca e sui bollettini parrocchiali erano davvero scarsissime”, spiega Veronesi nell’introduzione del suo lavoro che si è avvalso poi di molti racconti ritrovati in archivi e biblioteche. Tutto nasce nel clima del Giubileo straordinario della Redenzione indetto da Papa Pio XI: proseguendo la tradizione di lasciare sui monti una croce a ricordo del Giubileo (era avvenuto anche nel 1900 ai tempi di Leone XIII), si era costituito un comitato presieduto da don Antonio Rossaro (il prete famoso per la promozione della Campana dei Caduti) per innalzare una grande croce sullo Stivo, 400 giovani dell’Azione Cattolica di Rovereto e di Arco salirono al rifugio “Marchetti”, molto frequentato dai giovani dell’Oratorio Rosmini, per la posa in opera della croce; quel 17 settembre 1933 fu celebrata la Messa, accompagnata dalle note della Banda di Ronzo.

Scrive Veronesi: “Viene da pensare che per l’occasione del 17 settembre 1933 si sia provveduto, in considerazione del numero dei partecipanti e della loro giovanile età, al trasporto con mezzi fino a S. Barbara e forse fino a S. Antonio, per poi proseguire a piedi. I due gruppi si saranno poi gioiosamente incontrati dove il sentiero degli arcensi, proveniente da Castil, incrocia quello dei roveretani”.

Veronesi ha scoperto che il primo progetto prevedeva un’altezza di 16 metri ma la soluzione apparve troppo onerosa e si optò per una croce di soli quattro metri, “in attesa di tempi migliori”.

E l’autore? “Si contattò il fabbro Alberto Barozzi che aveva bottega in Valbusa Grande numero 21 ed era l’artigiano di fiducia della fabbriceria della parrocchia di San Marco. Ricerche effettuate presso tale canonica per trovare la documentazione contabile non hanno dato risultati. Probabilmente le offerte raccolte per il progetto, e forse anche la generosità dell’artigiano, furono sufficienti a saldare il tutto.

Scarse anche le notizie sul trasporto in vetta del manufatto che pesava duecento chili con una turnazione fra i portatori a spalla. Faticoso e difficile anche l’innalzamento dal momento che “prima si dovettero assemblare i due pezzi e fissarli con flange, perni e bulloni”.

E qui s’incrocia la storia del missionario saveriano in Bangladesh padre Mario Veronesi, zio dell’autore della ricerca storica, che fu tra i portatori della croce sullo Stivo, in quanto allora era vicepresidente dell’Azione Cattolica di Rovereto. Anche in terra di missione si sentì sempre legato a quella croce: si ricorda che durante uno dei suoi rari rientri in Italia per un’udienza papale dei missionari volle salire sullo Stivo e si commosse ammirando il panorama dalla croce. Segnalò anche lo stato di degrado in cui la croce si trovava e nel 1970 i nipoti, raccogliendo il desiderio dello zio, rinnovarono e rafforzarono il basamento.

Un anno dopo padre Mario fu colpito a morte da una banda di ribelli durante la guerra civile in Bangladesh: il prossimo anno sarà ricordato il cinquantesimo del suo martirio e la ricerca storica di Mariano Veronesi, dedicata al padre Valerio e agli altri zii “portatori” della croce, spingerà a guardare alla croce sullo Stivo.

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