Caucaso, conflitto scongelato

Scontri in Caucaso. Foto Agensir

Il Caucaso del Sud è nuovamente in fiamme. Una delle regioni chiavi dell’Europa dell’Est, da cui passano le principali pipeline di gas e petrolio verso i mercati europei, è ad un passo dal precipitare in una situazione di guerra e conflitti forse incontrollabili.

Gli scontri fra Azeri ed Armeni scoppiati domenica scorsa intorno alla ormai secolare questione dell’appartenenza del Nagorno-Karabakh rischiano infatti di allargarsi ad altri ben più importanti attori regionali. Questa piccola enclave, abitata da 143mila armeni e collocata entro in confini dell’Azerbaijan, non è infatti solo un problema che riguarda i due Paesi in lotta. Se fosse solo questa la questione da risolvere, cioè il decidere se il Nagorno-Karabakh è parte dell’Armenia o invece rimane una provincia, per quanto autonoma, Azera, probabilmente in questi trent’anni di guerre e scaramucce una soluzione si sarebbe già trovata.

All’inizio degli anni 2000, in uno dei rari momenti di quasi-armistizio fra i due Paesi anche il Trentino aveva cercato di offrire una soluzione. Infatti, una delegazione di Azeri ed Armeni si era incontrata nella sede dell’allora ITC per valutare l’applicazione al Nagorno-Karabakh del “modello” altoatesino.

Più in generale, in questi ultimi tre decenni i tentativi di pacificazione sono stati molteplici e condotti con grande dispendio di energie dall’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza in Europa. A gestire i negoziati sono stati incaricati in particolare la Russia, gli Stati Uniti e la Francia che hanno dato vita al cosiddetto Gruppo di Minsk. Malgrado ciò, quello che in gergo viene definito come un “conflitto congelato” non fa altro che incendiarsi ogni volta che l’attenzione delle grandi potenze tende ad affievolirsi. La realtà è che dietro alla contesa sul Nagorno-Karabakh si nascondono interessi potenti.

Al di là delle rotte del petrolio e del gas uno degli elementi di secolare instabilità è costituito dal violento confronto religioso fra un’Armenia cristiana e un Azerbaijan islamico sunnita. Ecco quindi che la “guerra” fra religioni torna a fare da sfondo a contese che appaiono di altra natura, ma che di fatto si possono ricondurre all’incompatibilità religiosa. E’ questa una drammatica constatazione che ci riporta indietro di secoli, ma che nei fatti continua ad alimentare la grande instabilità odierna nel Caucaso e nel Medio Oriente, come le numerose guerre e il terrorismo di questi ultimi due decenni non hanno fatto altro che confermare. Ma la seconda ragione che mantiene vivo il conflitto intorno all’enclave del Nagorno-Karabakh è l’intervento delle maggiori potenze esterne che dall’esito di quel conflitto cercano di trarre vantaggi per la propria influenza regionale. Così la Russia è fortemente schierata dalla parte della cristiana Armenia fin dall’inizio delle ostilità, cominciate nel lontano 1988 quando ancora esisteva l’Unione Sovietica. Ed è stata la nuova Russia nel 1994 ad imporre alle due parti un cessate il fuoco, che tuttavia non ha mai portato alla fine del conflitto. Anzi la Russia ha continuato ad armare l’Armenia in funzione anti-Azerbaijan. Ma proprio questo appoggio russo non ha fatto altro che offrire la scusa perfetta alla Turchia di sostenere apertamente il sunnita/turco Azerbaijan che, a differenza dell’Armenia, è anche uno stato ricchissimo esportatore di petrolio e gas. In effetti il “sultano” di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, non solo si è schierato con Baku, ma ha anche dichiarato di essere pronto ad intervenire militarmente in soccorso dell’Azerbaijan. Così si risveglia il decennale odio dell’establishment turco nei confronti dell’Armenia, riportandoci ai tempi bui del genocidio armeno all’inizio del secolo scorso. Chiaramente l’obiettivo di Erdogan non è solo la piccola Armenia ma piuttosto la riaffermazione della riemergente potenza turca nella regione, anche a costo di entrare in contrasto con la Russia che sul fronte opposto nutre le stesse ambizioni. Quelli che erano quasi-alleati nella gestione della guerra civile siriana finiscono quindi per trovarsi in profondo contrasto nel Caucaso meridionale, pronti entrambi a sfruttare il micro-conflitto intorno al Nagorno-Karabakh per fare prevalere la loro influenza sull’intera area.

Nel frattempo le vittime aumentano e gli stessi civili sono duramente colpiti dalle azioni militari. Un ulteriore dramma per l’intera Europa e per il tormentatissimo Medio Oriente.

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