Ai crocicchi delle strade

Domenica 11 ottobre – XXVII domenica anno A

Is 25, 6-10; Sal.22; Fil 4, 12-14. 19-20; Mt 22, 1-14

Il Vangelo ci presenta anche in questa domenica una parabola che Gesù racconta prima di tutto ai capi dei sacerdoti e ai farisei, ovvero a quelli che erano i responsabili delle istituzioni religiose e pensavano di essere assolutamente a posto, compiendo scrupolosamente ciò che la religione prescriveva. Praticamente i perfetti.

Siamo nel contesto di un banchetto. Però occorre subito notare che il Regno dei cieli non è simile a un banchetto. Gesù esplicita che è simile a un Re, che lo organizza per le nozze del figlio. Nell’Antico testamento il banchetto rimandava all’Eden perduto, da riconquistare possibilmente in base ai meriti guadagnati nella vita. Ma qui, e nella Bibbia in genere, il banchetto ha il carattere della gratuità assoluta. Basta essere invitati e ti verrà dato tutto, compreso il vestito, consegnato all’ingresso. La religione cristiana, vuole dirci questo racconto, è celebrazione di una festa a cui tutti sono invitati. Lo sono anche le persone che vivono nella superficialità, che trascorrono il tempo immersi nella banalità e nei loro interessi. Lo sono persino i violenti, capaci di agire in modo sguaiato e volgare. Al pranzo che Dio imbandisce sono invitati soprattutto i derelitti, coloro che sono abbandonati ai crocicchi delle strade… Stanno là dove si possono ascoltare le opinioni più diverse e le idee della gente.

Là, in quei crocicchi, non trovano posto i dogmi, forse la stessa verità non è mai definitiva, perché quello è il luogo dove si cerca sempre. Forse là non si può gustare nemmeno la bellezza, sempre minacciata da gesti grossolani. Nemmeno l’amore può esprimersi in tutta la sua forza, anche se rimane pur sempre l’unica risorsa rimasta a consolare le vite più diverse. Tutti sono chiamati, perché tutti sono amati da Dio.

Chi è ai crocicchi delle strade non è colui che è cieco di fronte ai segni di un Dio che ama, «sa sgranare gli occhi e lasciarsi prendere dallo stupore e dalla meraviglia». Ne ho incontrati tanti nella mia vita di prete e li ricordo con una sorta di nostalgia. Sapevano ascoltare e intenerirsi di fronte al dono ricevuto nell’esperienza del credente. Molti aspettano che qualcuno li inviti. Ma non con l’arroganza di chi conosce la soluzione di ogni problema, ma con l’umiltà di chi sa camminare insieme. Ciò che era accaduto ad Israele può accadere ancora. Dio ha stretto proprio con Israele la sua alleanza, ma è stata respinta. Egli tuttavia non si arrende ed allarga la chiamata a tutti i popoli, che gli Ebrei immaginavano non amati da Dio. Tutti sono invitati: del resto Gesù nella sua vita terrena non si limitava a banchettare con i suoi discepoli, ma anche con gente poco raccomandabile, color che sanno attendere qualcuno che dia senso alla loro esistenza.

Dio non va in cerca di gente che faccia delle cose per lui, ma di persone che si lascino amare, che accettino un Dio che ama la festa. Alla fine la parabola riserva un’altra sorpresa. Nella sala del banchetto s’è introdotto un tale che non porta l’abito nuziale e il re lo punisce molto severamente. Il vestito indica la nostra mentalità, esprime la nostra identità e il nostro gusto, buono o cattivo. Senza mutamento d’abito, cioè senza conversione del cuore dalle abitudini passate non si può partecipare al banchetto della comunione con Dio. Il Vangelo non è una toppa nuova da cucire su un vestito vecchio, ma una novità assoluta di «abito» e di vita (cfr. Mc 2,21).

In questa parabola il re agisce con assoluta gratuità, lontano da schemi umani troppo spesso condizionati dall’egoismo: so mettere al primo posto la persona e accoglierla con disponibilità nella mia vita?

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