Tra gli operai dell’ultima ora

Illustrazione di Lorena Martinello

Domenica 20 settembre -XXV domenica anno A

Is 55, 6-9; Sal.144; Fil 1, 20-27; Mt 20, 1-16

Leggiamo oggi una parabola sconcertante. Ricordo che alla fine della messa, celebrata qualche anno fa, una persona mi si è avvicinata e mi ha chiesto: «Ma dove sta la giustizia di Dio, se tratta tutti allo stesso modo»? Ho risposto di botto che nel nostro mondo è «l’ingiustizia dei giusti che continua a germogliare…». Non avvaliamo tutti un sistema economico che crea poveri sempre in maggior numero, che addirittura considera «esuberi» centinaia di milioni di esseri umani, che mai si interroga sullo sfruttamento e sulla barbarie che tanti stati impoveriti devono subire? Questo brano del Vangelo ci racconta che Dio non è un economista, un ragioniere. Al Dio di Gesù di Nazareth interessa la persona umana, la sua dignità e la sua libertà. E’ naturale che mi senta subito di solidarizzare con gli operai della prima ora, che hanno sopportato il caldo e la fatica dell’intera giornata: non è giusto dare la stessa paga a che lavora molte ore e a chi, invece, ne lavora poche. Se al centro di tutto metto le leggi dell’economia e il denaro, questo risulta semplicemente scandaloso. Ma se al centro non metto la produttività, ma la persona, un bracciante senza terra e con i figli da sfamare, i migranti che lavorano nei campi a raccogliere verdura e frutta e che, vedendo un servizio televisivo mi pareva abitassero in una delle favelas del Brasile che ho potuto visitare, allora non mi è lecito mormorare contro chi intende assicurare la vita d’altri oltre alla mia.

Se io voglio vincere la mia istintiva solidarietà con gli operai della prima ora, devo saper assumere lo sguardo di Dio. Basterebbe rileggere la protesta di Giacomo: «Ecco ricchi, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti». (Gc. 5,4) La parabola non è un incitamento a mandare all’aria una corretta gestione delle relazioni sindacali. Mette in evidenza prima di tutto che più importante del profitto e del capitale è l’operaio con i suoi bisogni.

Il padrone della parabola non lede la legalità e non incrina ciò che ha pattuito. Semmai egli supera la legalità con la bontà e la generosità. Dio non guarda ai meriti di una persona, ma a ciò di cui ha bisogno. E la giustizia non è dare a tutti parti uguali, ma dare a ciascuno in rapporto alle sue necessità.

Lo sapeva bene don Milani che in Lettere a una professoressa scrisse: «Non c’è nulla di più ingiusto quanto far parti uguali fra diseguali». Anche dal punto strettamente religioso questa parabola ha qualcosa da insegnarsi. E per riuscire a comprenderne il significato dovremmo chiederci a quali operai ci paragoniamo. Può essere del tutto comprensibile che ci poniamo senza tentennamenti fra gli operai della prima ora. Ci poniamo in questo caso accanto ai farisei. Per costoro la religione è simile a un rigoroso rapporto economico da regolare secondo criteri di giustizia; pensavano che attraverso la fatica quotidiana dell’osservanza della legge avrebbero «guadagnato» la vita eterna. Non aveva dunque alcun senso, secondo loro, che la conversione potesse cancellare il passato e potesse offrire la stessa salvezza a un peccatore. Anche tanti cristiani esemplari pensano che Dio e la sua benevolenza si debbano conquistare. Se non è così forse anche in Dio c’è qualcosa che non va. Ma forse comprende di più il cuore di Dio chi si mette tra gli operai dell’ultima ora, tra i peccatori, chi si pone a fianco di Maria Maddalena, del buon ladrone, chi conta non sui suoi meriti ma sulla bontà di Dio. Solo allora potrà scoprire che queste parole di Gesù sono un inno all’infinito amore di Dio.

Quale spazio ha la logica del Vangelo nelle nostre scelte, anche in quelle più impegnative come il lavoro e l’economia? Siamo tra quelli che pensano di «guadagnarsi il paradiso» o ci affidiamo alla gratuità dell’amore di Dio?

 

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