“Veglia”, la staffetta partigiana uccisa dai nazisti a 19 anni

La partigiana Clorinda Menguzzato, “Veglia”. Illustrazione di Giorgio Romagnoni

Clorinda Menguzzato non aveva ancora vent’anni (li avrebbe compiuti di lì a poco), quando cadde a morte dopo tre giorni di sevizie e torture da parte dei tedeschi, lungo un tornante sulla strada che collega Castello a Pieve Tesino. Era il 10 ottobre del 1944;  infermiera e staffetta partigiana, un’umile e silenziosa funzione di servizio, “Veglia” era stata catturata due giorni prima da una pattuglia del Corpo di Sicurezza Trentino, una volta in mano ai nazisti venne ripetutamente torturata dal capitano della SS Karl Julius Hegenbart, durante gli interrogatori perché facesse i nomi degli altri partigiani.

Ma lei non parlò e che ciò le è valso di essere insignita – fra le pochissime donne della Resistenza – della Medaglia d’Oro al Valor militare. “Quando non sopporterò più le vostre torture – la frase che pronunciò e con la quale verrà per sempre ricordata  – mi mozzerò la lingua pur di non parlare”.

Assieme a Clorinda vengono ricordati anche l’amica Ora, Ancilla Marighetto trucidata a pochi mesi di distanza, nel febbraio 1945 e il sacerdote tesino don Fiore Menguzzo,  medaglia d’oro al merito civile: era il 12 agosto 1944, quando i soldati tedeschi della 16a SS Panzergrenadier Division del generale Max Simon accerchiarono il paesino di Sant’Anna di Stazzema come rappresaglia contro i partigiani. In poche ore furono massacrati 560 civili, in gran parte donne, vecchi e bambini.

Quel giorno anche il giovane parroco  (28 anni) fu ucciso lungo una mulattiera da una scarica di colpi di arma da fuoco. Subito dopo fu incendiata anche la canonica, dopo che era stato ucciso anche il padre Antonio, di anni 65, la sorella Teresa (36 anni), la cognata Claudina Sirocchi (28 anni), le nipotine Colombina Graziella Colombini ed Elena Menguzzo, rispettivamente di 13 anni e di un anno e sei mesi.

“Spesso, parlando con i ragazzi di giustizia e libertà si sente la necessità di fornire loro esempi positivi”, aveva raccontato a Vita Trentina Emily Menguzzato, ricordando la zia “Veglia”. “Don Ciotti dice che la memoria deve trasformarsi in impegno per mantenere vivi gli insegnamenti che le vittime delle ingiustizie sociali ci hanno lasciato. Fare memoria non deve limitarsi a ‘celebrare’ ma deve tradursi in azioni concrete nel nostro quotidiano”. Solo così Clorinda, Ancilla – “Ora”, l’amica staffetta partigiana pure lei trucidata dai nazisti – e gli altri non sono morti invano.

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