Ma cosa vuol dire lasciare tutto

DOMENICA 24 GENNAIO 2021 – III DEL TEMPO ORDINARIO

Gio 3, 1-5. 10; Sal.24; 1 Cor 7, 29-31; Mc 1, 14-20.

Siamo  nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che ripropone il desiderio di tutti i credenti in Cristo: potersi ritrovare come un sol corpo a lodare Cristo, ad accogliere la sua Parola, lievito di un mondo nuovo.
Anche per i cristiani è stato facile dividersi nei duemila anni della loro storia. Ci sono state scomuniche reciproche, volontà di dominare sugli altri, assenza di dialogo. Gesù aveva pregato perché fossero «una cosa sola», ma la difficoltà di accettare di essere tutti quanti «servi» della Parola ha frantumato ogni possibilità di una casa comune.
In fondo anche le letture di questa domenica, ci invitano a comprendere come pregiudizi e ostacoli siano sempre presenti quando si cerca di superare insegnamenti e tradizioni del passato.
La prima lettura ci presenta Giona, davvero uno strano «profeta», che vorrebbe rimproverare Dio perché vuole salvare Ninive, città pagana per eccellenza, dove tutto è lontano da lui. Ma la parola profetica lo costringe a combattere contro le sue stesse convinzioni, politiche e religiose, di stampo integralista e settario: gli atei non sono forse sotto la maledizione divina? Come può Dio dare loro un’occasione di salvezza?
Ed invece, ecco la sorpresa: gli “empi” Niniviti si convertono. Il Dio della misericordia è contrario a ogni giustizia sommaria, ad ogni pena di morte, ad ogni grettezza religiosa e ideologica; Egli «non prova piacere per la morte del malvagio, ma desidera che si converta e viva» (Ez 18,23).
Chi di noi non ha conosciuto persone «lontane» o talvolta «allontanate» da Dio e dalla Chiesa, che fanno dono di sé agli altri, che non si risparmiano nel servizio ai più poveri e sofferenti? Non c’è forse anche in loro l’immagine del Dio di Gesù Cristo? E non siamo un po’ tutti Niniviti?
Il brano del Vangelo (Mc 1,14-20) ci racconta di Simone e Andrea, chiamati da Gesù, che «subito lasciarono le reti e lo seguirono».
Josè Maria Castillo sottolinea che bisogna stare attenti a non pensare che seguire Gesù sia «un privilegio distintivo degli eletti, come se nella Chiesa ci fosse una categoria speciale di scelti… “chiamati alla vita perfetta”. É significativo che Matteo inizi e termini il discorso della Montagna, dicendo che Gesù parlava a tutti quelli che lo seguivano (Mt 4,25; 7,28; 8,1).
Seguire Gesù è «lasciare tutto» e prendere sul serio il progetto del Regno di Dio; in altre parole è credere che il Vangelo è la Buona notizia che deve orientare la nostra vita.
È ammissibile che alcuni lascino impegni professionali e affettivi per seguire un uomo che li chiama, come i due apostoli? Se oggi qualcuno ci proponesse di lasciare il nostro ruolo di imprenditori, operai, insegnanti…, o di lasciare la famiglia, aderiremmo a una simile proposta?
Questa scelta indica a tutti di non vivere il lavoro come fine a se stesso, o la famiglia come una realtà chiusa. Solo aprendosi ai problemi e alle speranze dell’umanità, allora acquistano senso e danno senso: più che lasciare letteralmente lavoro e famiglia, è importante abbandonare il modo vecchio di viverli.
Nel recente film tv su Chiara Lubich si gustava lo spirito che ha mosso questa donna e che oggi è vissuto in ogni parte del mondo. Uomini e donne che stanno nel mondo, vivendo semplicemente la promessa di Gesù: “dove due o più sono riuniti nel mio nome…”. Sulle strade del mondo, ascoltando e proponendo, senza pretendere supremazie potrebbe nascere il nuovo giorno dell’unità dei cristiani. E si potranno dispensare annunci di salvezza davvero universali

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