Saharawi, la lunga attesa, nell’indifferenza del mondo

Una scuola nella provincia di Al Ayun, nel Sahara Occidentale. Foto Cisp

Una terra occupata da più di 45 anni. Un popolo, quello saharawi, costretto a vivere nelle tende, in situazioni perennemente precarie. Sospeso. In attesa. Come nel romanzo di Buzzati “Il deserto dei Tartari” in aspettativa di qualcosa che non arriva mai. O tarda ad arrivare come il diritto all’autodeterminazione, la fine dell’occupazione militare marocchina, una libertà ritrovata. Così nel Sahara Occidentale, quel lembo di deserto tra Marocco, Algeria e Mauritania, si consuma una tragedia che va avanti da decenni nell’indifferenza del mondo. Sì, ci sarebbe una risoluzione delle Nazioni Unite di anni fa che propone (impone) che il Marocco lasci quei territori a chi li abita da sempre, solo che è rimasta del tutto inattuata.

Ci sono i continui auspici dell’Unione Africana che esprimono “profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione nel Sahara Occidentale e per le gravi minacce di rottura del cessate il fuoco, in un contesto caratterizzato da una situazione sanitaria e geopolitica estremamente delicata”. Parole al vento. Auspici vuoti di senso se non seguiti da un’adeguata pressione nei confronti delle autorità marocchine. Le quali – immaginarsi – non mollano la presa. Troppo alti e pesanti gli interessi economici – sempre quelli in ogni conflitto sulla faccia della terra -, in questo caso le materie prime e i fosfati di cui il sottosuolo desertico è ricchissimo. Fatto sta che i saharawi sono sotto scacco da fin troppo tempo, prima con l’occupazione spagnola e adesso, da decenni, con quella marocchina. Mostrando al contempo una resistenza straordinaria.

Provate a immaginare di vivere nelle tende per mesi e anni, giorno per giorno, notte per notte. Con le temperature che salgono all’inverosimile nelle ore diurne, fino a 50° C e più, per poi scendere vertiginosamente di notte dove anche nel deserto fa un freddo terribile. Che in simili condizioni i saharawi non siano incappati in un impazzimento di massa, nella dispersione del senso stesso del concetto (reale, quotidiano, non astratto e astruso) di popolo, cioè di comunità estesa che rimane unita e si riconosce nello stesso destino, ebbene, sì, è un miracolo dovuto alla straordinaria resilienza di chi non si arrende e va avanti nonostante tutto. Migliaia di saharawi vivono in esilio a Tindouf che è territorio algerino, centinaia sono detenuti nelle carceri marocchine subendo torture e intimidazioni di ogni tipo in spregio alle più elementari norme di diritto internazionale.

In queste tremende condizioni il Fronte Polisario di liberazione del Sahara sta attuando, non da oggi, una strategia di largo respiro che parte da una scolarizzazione capillare difficilmente riscontrabile in altre zone dell’area subsahariana capace di coinvolgere bambine e bambini, ragazze e ragazzi, fino alle donne di ogni età, vere colonne di una resistenza prima di tutto culturale.

Anche dal punto di vista sanitario si fanno cose impensabili sul lato della prevenzione e della cura, con pochissimi mezzi a disposizione. Gente fiera, i saharawi, che tiene alla propria identità culturale, una cultura essenzialmente laica, non è un caso che risulti impermeabile ai tentativi di infiltrazione della propaganda jihadista del fondamentalismo islamico che altrove sta facendo proseliti a bizzeffe.

In Italia gruppi e organizzazioni che avevano intessuto un rapporto di amicizia e solidarietà col “popolo delle tende” adesso non possono accogliere i piccoli gruppi di persone bisognose di essere curate; sono interdetti i viaggi di conoscenza e amicizia reciproche. Si spera solo temporaneamente.

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