Per mia colpa…?

L’illustrazione di Lorena Martinello dal calendario “Due piccoli pesci”

DOMENICA 14 FEBBRAIO 2021 – VI DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

Lv 13,1-2.45-46

1 Cor 10,31-11,1 Mc 1,40-45

Gesù, uscito dalla casa di Pietro dove aveva guarito la suocera, andò per tutta la Galilea, predicando nelle sinagoghe, sanando i malati e scacciando molti demoni.  Ad un certo punto «gli venne incontro un lebbroso» (Mc 1,40) che gli chiese di essere purificato. In tutto il Vangelo di Marco comparirà soltanto un’altra volta la figura di un lebbroso (cfr. Mc 14,3). Chi era colpito da questa malattia viveva in modo molto avvilente la sua storia e la sua vita.

Egli doveva dichiarare e denunciare pubblicamente la sua impurità. La malattia implicava già una pena, che sconvolgeva il cuore nel profondo: «Io non sono come dovrei; io posso soltanto far sapere a tutti che sono lebbroso e che non posso essere avvicinato. Io sono un fallito e la mia vita è svuotata di senso…».

Quest’uomo si buttò in ginocchio davanti a Gesù implorandolo. Aveva quasi paura di guardarlo negli occhi, credeva che il suo stato fosse così grave che nessuno avrebbe potuto guarirlo. «Se vuoi…». Forse sottintendeva che nemmeno Gesù lo volesse, o potesse fare qualcosa. La vera lebbra si manifesta sempre proprio in questa implicita convinzione, che non vi sia amore per chi è malato, per chi vive situazioni difficili nella sua vita. In questi casi, si pensa, è impossibile che qualcuno mi ami.

Ma Gesù «ne ebbe compassione, lo toccò e gli disse: “lo voglio, sii purificato”» (Mc 1,41). Non soltanto Gesù lo vuole, ma Gesù lo tocca. Questo gesto, stando alle consuetudini del tempo, comportava che Gesù stesso diventasse impuro. Toccare un lebbroso equivaleva, infatti, a diventare lebbroso. Gesù non solo voleva la guarigione del lebbroso, ma si fece lebbroso. E forse per la prima volta quel malato si sentì uomo accolto e amato.

Che cosa può voler dire questo brano per noi, credenti in Gesù, Figlio di Dio, oggi? È successo in passato – ma non dobbiamo scandalizzarci, perché la Parola di Dio la comprendiamo meglio se stiamo attenti al progresso umano – che per molti cristiani Dio era là a ricordare prima di tutto la loro indegnità. Presentarsi davanti a Lui voleva dire in qualche modo umiliarsi davanti a se stessi.

Poteva accadere che qualche persona si sentisse sicura davanti a Dio solo quando ripeteva: «per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa». Succedeva così che «era la colpa a muovere la sua esperienza religiosa, le sue suppliche, i suoi riti e i suoi sacrifici» (J. Antonio Pagola).

Nella mia esperienza di prete ho più volte incontrato donne o uomini che in qualche modo riflettevano queste convinzioni. Ma è questa la via più sicura verso la guarigione, verso l’incontro con Dio. È sicuramente necessario il senso della colpa, per costruire la vita, perché introduce un’autocritica feconda, mette in moto una dinamica di trasformazione e porta a vivere meglio e con maggiore dignità. Come sempre, però, l’importante è sapere in quale Dio si crede. Se Dio è un essere esigente e sempre insoddisfatto, che ci controlla tutti con occhi di giudice a cui nulla sfugge, la fede non potrà che generare angoscia e impotenza.

E, stando a un commento al Vangelo di Marco di Pino Stancari, Gesù potrebbe arrabbiarsi, come davanti al lebbroso, che ha usato una formula ipotetica («se vuoi…» sottintendendo «forse non vuoi») per indicare che lui non potrà mai essere guarito. Ma Gesù vuole sempre la guarigione. E il credente deve guardare a questo Dio vivo, Gesù Cristo, l’amico della vita e l’alleato della felicità umana. La preghiera del lebbroso, la preghiera anche nostra, sarà un chiedere a Gesù di vincere la nostra paura di andargli incontro e di rendere la sua Chiesa la Chiesa degli esclusi e non la Chiesa che esclude. Una cristiana della mia comunità mi ha scritto: «Ho conosciuto e gioito di essere cristiana, quando ho capito che Dio non mi condanna per i mei peccati; grazie a Gesù, toglie il male che ho dentro, anche se non me ne rendo conto…». Questo è il nostro Dio!

E secondo voi?

Qual è la mia immagine di Dio? Sento la sua misericordia su di me e su tutti gli uomini?
La mia comunità/parrocchia è capace di accogliere senza escludere nessuno?

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