M.A.R, un amore di ferrovia

Il trenino della M.A.R. dopo avere costeggiato il Lago di Loppio, affronta la salita di Passo San Giovanni

Di Luigia de Lindegg, pare non siano rimaste fotografie. A ricordare il suo passaggio  terreno resta solo un nome consumato dal tempo, inciso sulla tomba di famiglia  presso il cimitero di San Marco, a Rovereto. Infatti, la baronessina Luigia, morta a  soli 33 anni, riposa qui dal lontano 1896, assieme ai suoi familiari fra cui l’illustre  padre, il barone Melchiorre Giuseppe de Lindegg, Signore di Mollenburg,  Weissenberg, Marbach, Arnsdorf e Lizzana, scomparso anche lui lo stesso anno.  È una storia di altri tempi, la sua. Una storia di amore e di morte che merita di essere  raccontata.

Siamo verso la fine dell’Ottocento, più precisamente nel 1888, ed una graziosa  fanciulla dai capelli bruni, chiara di carnagione e dal nobile portamento, attende  l’arrivo del treno nella piccola stazione di Vintl, nel Sud Tirolo (oggi Vandoies – Alto  Adige), una delle provincie più meridionali dell’Impero Austro-Ungarico. È proprio  lei, la giovane figlia del Consigliere dell’Impero, il barone de Lindegg, che per far  passare il tempo dell’attesa sta ammirando degli  affreschi all’esterno dell’edificio, sotto lo sguardo  attento del cocchiere a cassetta di un landò con al traino due cavalli nerissimi.

Il trenino scende dalla “Maza” verso Arco. Sullo sfondo il Lago di Garda Con il paesino di Torbole.

Curiosamente, la   stazione è deserta. Solo un bel giovane con baffi   scuri e occhialini, alto e impettito, passeggia lungo   il marciapiede a fianco dell’unico binario. Anche   lui sta aspettando il treno. Indossa una divisa da funzionario delle Imperial Regie Ferrovie Meridionali. Si chiama Otto Karl Stöber e proviene da una modesta famiglia della Slesia, una regione oggi ai confini fra Polonia e Germania.

Ma fermiamoci qui per un istante e con la “macchina” del tempo facciamo un salto all’indietro di qualche decennio, spostandoci di un centinaio di chilometri a sud, più esattamente a  Riva del Garda, nell’attuale Trentino. Un passaggio nello spazio e nel tempo che ci verrà utile più tardi, nel prosieguo del nostro racconto. È da dire che dopo la metà dell’800, l’economia del Basso Sarca – Riva ed Arco in  particolare – iniziò ad avere un forte impulso in seguito all’incremento delle vie di navigazione sul lago, alla realizzazione di nuove strade di collegamento con le Valli  Giudicarie, nonché alla progettazione in corso di una strada per la Valle di Ledro e,  soprattutto, di una ferrovia che avrebbe dovuto congiungere il lago di Garda con la  “strada ferrata del Tirolo Meridionale”, la linea ferroviaria del Brennero, inaugurata  nel 1859.

Un’idea ambiziosa quella della ferrovia “privata”, che aveva messo in campo numerosi progettisti e finanziatori. Un sogno che avrebbe tolto l’Alto Garda  dall’isolamento, ma che tuttavia stentava ad andare avanti. Eravamo nel 1887 e se ne  parlava inutilmente già da quasi dieci anni: difficoltà di vario genere avevano finora  impedito la realizzazione del collegamento. Finalmente, dopo aspri scontri fra le  municipalità interessate, il progetto dell’ing. Rudolf Stummer cav. von Traunfels venne approvato in via tecnica con il beneplacito delle autorità governative di  Vienna. Si trattava ora di superare il non facile scoglio del concreto reperimento dei  fondi privati, circa 4 milioni di franchi, una cifra non indifferente per coprire i costi  dei previsti 24 chilometri di linea ferrata. Trascorsi diversi mesi dall’approvazione, sembrava, però, che nessun finanziatore fosse interessato alla M.A.R, la ferrovia – chiamata così per brevità – che avrebbe collegato i centri di Mori, Arco e Riva.

Un disinteresse così grave che il progetto riprese di nuovo a segnare il passo. E qui, dopo avere riferito questo doveroso antefatto, possiamo tornare ancora a Vintl,  a quella piccola stazione in cui gli sguardi della venticinquenne baronessina de  Lindegg e del ferroviere dai lunghi baffi, alla fine si incrociarono. I dipinti alle pareti,  infatti, erano opera del giovane ferroviere Stöber, e Luigia, è da dire, non era affatto una sprovveduta in tema d’arte pittorica. Quando l’occhio esperto della   ragazza si staccò ammirato dalla parete, trovò occhi  diversi che la guardavano con altrettanto interesse.   Così, un colloquio molto cordiale prese avvio fra i due, quando in lontananza, nella valle, si udì il fischio del treno in arrivo. Pochi minuti dopo, dalla carrozza di prima classe scese il barone Melchiorre de Lindegg interrompendo di colpo qualcosa che non avrebbe mai voluto essere interrotto. E mentre padre e figlia si avviavano verso l’uscita, la giovane, visibilmente turbata, non smetteva di girarsi all’indietro.

Il treno giunge in prossimità del porto così da permettere ai viaggiatori e alle merci di essere subito imbarcati sul vaporetto

Era del tutto evidente che una scintilla d’amore era scoccata fra i due giovani. Il fuoco, invece – quello della passione – sarebbe divampato di lì a poco attraverso una fitta corrispondenza  epistolare fra i due, unendo idealmente le signorie de Lindegg, quella di Vintl in Val Pusteria e quella di Lizzana, presso Rovereto, dove la  famiglia risiedeva. Un rapporto confidenziale sempre più stretto, che purtroppo durò  fin quando il padre di lei non se ne avvide, troncandolo d’autorità: “Un semplice  ferroviere – sentenziò solenne il barone – non potrà mai aspirare a diventare mio  genero.”

Ma la fanciulla innamorata aveva un forte carattere e si dimostrò irremovibile nei suoi propositi. Iniziò così un braccio di ferro fra padre e figlia che portò, per qualche mese, alla rottura di qualsiasi rapporto. Poi il barone, che per Luigia stravedeva, concluse che una soluzione doveva pur esistere. E da qui, un suo lampo di genio, raccontato da Giacomo Nones nel libro “Mar. Storia di una ferrovia”. Chiamò immediatamente l’amico barone Malfatti di Rovereto chiedendogli di perorare la causa della M.A.R. presso l’Imperatore Francesco Giuseppe. Poi attivò altre persone perché facessero pressione sul banchiere Sigismund Schwarz di Bolzano, il quale alla fine si dichiarò disponibile a finanziare il progetto. Si costituì, infine, una società per azioni (la “Lokalbahn Mori-Arco-Riva am Gardasee”) in cui entrò pure lui, il barone de Lindegg, così che i lavori per la costruzione del tracciato poterono finalmente iniziare nel 1890.

Bella idea quella del barone, ma che ne fu del giovane ferroviere innamorato? E come c’entra in questa storia? Alla pari di tutte le vicende del genere, in realtà non sappiamo bene fin dove arrivò il cuore e fin dove prevalsero gli affari. Certo è che nel frattempo Otto Karl Stöber era stato trasferito presso la stazione di San Michele all’Adige, lungo la “strada ferrata del Tirolo Meridionale”, avvicinandosi in tal modo alla sua amata. Così come è indubbio che già prima che i lavori della nuova ferrovia fossero conclusi, lui venne assunto dalla società M.A.R. per ricoprire il prestigioso incarico di primo Capostazione titolare a Riva del Garda.
Il 28 gennaio del 1891, la ferrovia venne inaugurata in pompa magna. Fu un grande e lungo festeggiamento che partendo da Mori e costeggiando con tortuoso tracciato il piccolo lago di Loppio, coinvolse tutti gli abitanti di ogni paese toccato dal piccolo convoglio: Oltresarca, Romarzollo, Arco, Cologna e Riva. Tutte le carrozze erano decorate con addobbi a festa. Quelle di prima classe spiccavano nei loro broccati di velluto carminio e motivi floreali; molto più modeste, invece, quelle di terza classe, con umili panche in legno, ma molte bandiere bianche e rosse che davano agli interni un po’ di colore.

Il Capostazione Stöber, alla sua prima uscita ufficiale, era indaffaratissimo e radioso. Nella foto scattata quella mattina (sotto), lo si vede all’estrema sinistra, vestito di un lungo cappotto scuro e con cilindro mentre dà le ultime istruzioni al macchinista.
Per il giovane Otto era la realizzazione di un sogno cullato per tanto tempo. Il seguito si concretizzò l’anno successivo, quando finalmente il 14 maggio l’ex ferroviere di Vintl si unì in matrimonio con la baronessina Luigia de Lindegg, nella chiesa di San Marco a Rovereto.

Alla cerimonia era presente gran parte della nobiltà locale. Come prima tratta del loro viaggio nuziale, gli sposi, assieme agli invitati, ripeterono il tragitto dell’inaugurazione con un convoglio speciale, stavolta trainato dalla locomotiva “Pinzolo” appena acquistata dalla società, mentre a Riva del Garda tutta la cittadinanza attendeva festante quel corteo molto speciale.
Fiori, applausi e sorrisi: ogni cosa sembrava annunciare un futuro molto felice per i due giovani sposi. Purtroppo, però, dietro all’angolo si nascondeva un amaro destino. Il primo, funesto segnale si ebbe neppure un anno dopo. Nel corso di uno dei primi spettacoli di fuochi d’artificio sul lago antistante Riva, la baronessina Luigia, che era incinta, mise un piede in fallo e cadde rovinosamente. Trasportata d’urgenza in ospedale mentre ormai era in corso un parto prematuro, non si poté salvare il bambino che morì poco dopo essere venuto alla luce.

Il secondo e ancor più tragico evento, accadde tre anni dopo, la sera del 25 novembre del 1896. Luigia era nuovamente in dolce attesa. Nei mesi precedenti, la giovane dal fisico piuttosto gracile, aveva messo in atto tutte le precauzioni per portare avanti in sicurezza quella seconda maternità. E in effetti, fino ad allora tutto era filato liscio. Se non che, giunti regolarmente al termine della gravidanza ed iniziato quella sera il travaglio, ci si rese subito conto che il parto si stava rivelando molto difficile. Sopraggiunte gravissime complicazioni, nonostante i mezzi economici e l’assistenza medica di cui disponeva la famiglia, dopo alcune ore Luigia de Lindegg in Stöber spirò all’età di soli 33 anni. Neppure la sua bimba, alla quale venne dato il suo stesso nome, le sopravvisse.
Per il povero Otto quella doppia tragedia fu l’inizio della fine. Perduti, con sua moglie e sua figlia, ogni affetto e ogni futuro, in un luogo che in definitiva non era più il suo e forse non lo era mai stato, riuscì a resistere per due anni al dolore della solitudine. Poi, nel 1898, decise di abbandonare Riva del Garda e la sua amata M.A.R. perché troppa sofferenza gli causava ripercorrere quelle strade che seppur per poco tempo l’avevano visto felice. All’inizio si trasferì in alcuni paesi dell’Austria, poi si stabilì definitivamente come capostazione in Boemia, dove, ancora giovane, morì nel 1905.

La ferrovia Mori-Arco-Riva continuò, invece, a seguire il proprio consueto tragitto. Riuscì a superare la Grande Guerra, seppur riportando gravi danni, e nel 1921 riprese la sua regolare attività, stavolta sotto amministrazione italiana. Era però finita un’epoca che non sarebbe mai più tornata. La concorrenza delle prime autocorriere rivelarono a tutti che il suggestivo, ma lento trenino della M.A.R. non era più in grado di stare al passo con i tempi. Neppure l’allungamento della linea ferroviaria fino a Rovereto, avvenuto nel 1925, né l’ipotizzato progetto di elettrificazione riuscì a fermare un declino ormai segnato.

Le corriere della Società F.R.A.R. che vennero a sostituire la vecchia ferrovia

Dopo una lunga agonia durata ancora più di dieci anni, il 21 ottobre del 1936 la M.A.R. venne definitivamente soppressa. Il romantico trenino sbuffante della Belle Époque, che aveva aperto e fatto scoprire il Lago di Garda a turisti e a innamorati, passò così dalla dimensione dei sogni a quella dei ricordi. Chi si trovava a Riva, la sera dell’ultimo viaggio, ricordò infatti per molto tempo quella serie di fischi quasi strazianti che la locomotiva lanciò all’entrata in stazione. E con essi, serbò per tutta la vita altri ricordi struggenti legati alla M.A.R., compreso quello unito indissolubilmente ai protagonisti di una favola amara, alla baronessina Luigia de Lindegg e al Capostazione Otto Karl Stöber e al loro amore nato proprio grazie ad una ferrovia.

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