Luciana, Federica e Irene, la resilienza è donna: “Il nostro tocco nel lavoro e nella vita”

Diego, le sorelle Federica e Irene e mamma Luciana nella loro abitazione di Cogolo di Peio. Foto © Gianni Zotta

Resilienza è la capacità di piegarsi senza spezzarsi. Resilienza è trovare la forza di rialzarsi, non una ma due volte. Resilienza è la prima parola che balza alla mente ascoltando il racconto delle tre donne che, in un pomeriggio di fine febbraio, ci hanno aperto la porta di casa e, di conseguenza, della loro vita. Siamo a Cogolo di Peio, passato lo stabilimento della famosa acqua si gira a destra e dove finisce la strada inizia la storia di Luciana Canella e delle figlie Federica e Irene. Qui vivono e lavorano, portando avanti l’officina di famiglia. Qui la loro vita ha rischiato di sgretolarsi, qui hanno saputo raccogliere i pezzi, rimetterli insieme e ripartire.

CARLO E DIEGO
Dalla morte del marito Carlo sono passati ormai tredici anni: un melanoma, e Luciana ricorda bene quegli ultimi otto mesi di enorme sofferenza. Lei divisa tra tre figli minorenni da crescere, la più piccola di quattro anni e mezzo, il marito in casa da accudire e il lavoro che non poteva fermarsi. “C’erano i mutui da pagare, scendere – dice Luciana indicando l’officina sotto l’appartamento – era l’unica scelta possibile. Ma è stata durissima”. Anni di lavoro, arriva il 2015 che si porta via tutti i debiti, l’attività è ben avviata ma la “tranquillità” dura poco: è il maledetto 30 aprile 2017, il figlio Diego, impegnato in una partita di campionato a Mezzolombardo, è vittima di un tragico incidente di gioco.

RIPARTIRE, DI NUOVO
Diego il meccanico, Diego che lavorava in officina, Diego l’uomo volante che difendeva i pali della sua Redival, la squadra di calcio della valle. Diego, in quella foto, il ragazzo dal ciuffo biondo, Diego che ama la vita, che guarda al futuro con quel sorriso che ogni ventitreenne dovrebbe avere. Diego oggi, sulla carrozzina, in stato di minima coscienza (“È come un neonato di due mesi, ci hanno spiegato i medici”), bisognoso di assistenza continua. Sono passati quattro anni da quella partita, da quello scontro violentissimo. “Bisogna viverla questa situazione per capire cosa significa: Diego l’abbiamo perso su quel campo di calcio. Adesso cosa vuole che ci aspettiamo? Quando cambia, cambia in peggio… È vita questa?”, sospira Luciana. La voglia di mollare è tanta: all’improvviso tutto diventa buio, passa l’amore per il lavoro che ti dà da vivere, “ti viene da dire adesso basta”. Ma poi… “Ma poi – dice Luciana passando la palla alle figlie – queste due hanno insistito…”.

Luciana e le figlie, Federica e Irene, nella loro officina. Foto © Gianni Zotta

TRE DONNE IN OFFICINA
Federica, diploma di ragioniera, prende le redini dell’officina, durante i dieci mesi di permanenza della madre in Austria (“Lì ho trovato un’umanità che non ho mai più rivisto e anche questo mi ha aiutata a mantenere quella serenità interiore che in questo caso è indispensabile”, commenta Luciana), nel tentativo di offrire al figlio le migliori terapie possibili. “Già prima dell’incidente di mio fratello aiutavo la mamma con la contabilità, mentre lei teneva tutti i rapporti con i clienti”, racconta Federica. “Ho preso io il suo posto e mia sorella Irene, quando non era a scuola, mi dava una mano con l’amministrazione: quando ti trovi a casa una situazione del genere, anche gestire un’officina diventa facile, i problemi ti sembrano tutti risolvibili”. Lavorare in un ambito, ancora oggi considerato quasi esclusivamente maschile, non è mai stato un ostacolo. “Si sa che le donne hanno una capacità di gestire tante cose assieme che agli uomini manca: e in un’officina meccanica servono anche l’ordine, l’organizzazione, l’attenzione alle piccole cose”, fa notare ancora Federica, trentuno anni, un bimbo di due e due gemelli in grembo che nasceranno fra tre mesi. “Capisce che fra poco mi toccherà fare la nonna a tempo pieno?”, riprende Luciana. “Una volta cambiavo anche le gomme, oggi non serve più ma quando è necessario scendere a fare un po’ di ordine lo faccio senza problemi”. Irene sta sorridendo sotto la mascherina. “E … urla!”. Diciotto anni, il quinto anno di ragioneria da terminare, si immagina un futuro da carrozziera: “È la mia passione, quest’estate appena mi svegliavo sapevo subito dove andare; ripresa la scuola però ho potuto dedicarmici meno, a giugno vedremo…”.

UNA FAMIGLIA “ALLARGATA”
Chi semina raccoglie, non potrebbe esserci citazione più azzeccata. In questi anni attorno alla famiglia Canella si è creata una fitta rete di relazioni, volontariato e amicizia. A fianco dei parenti più stretti (lo zio Vittorio, una “vera colonna” e tutti gli altri), sono tanti quelli che non sono rimasti a guardare: da chi si offriva per venire a stirare durante l’assenza di mamma Luciana, all’anziano senza nipoti che ha conosciuto la storia di Diego in ospedale e viene a trovarlo appena può, a chi ancora oggi prepara volentieri il pranzo e lo porta direttamente a casa. Alle tante iniziative di “infinita solidarietà” arrivate anche dal mondo del calcio trentino e non solo, che hanno aiutato, tra l’altro, a realizzare uno spazio in continuità con l’abitazione per dare a tutti quelli che si occupano di Diego, la possibilità di operare al meglio. Una rete che il coronavirus e il lockdown hanno messo a dura prova, ingigantendo le difficoltà di una situazione già durissima: “Prima, il sabato e la domenica portavamo con noi Diego al bar o in piazza, magari a vedere la partita di calcio al campo, era un’occasione per staccare, per ritrovare un po’ di normalità. Ogni fine settimana ci alternavamo per stare via un paio di giorni a testa. Ora programmare le giornate è diventato più complicato, ma almeno l’attività è nostra e possiamo giostrarci, prenderci le nostre pause, i nostri momenti di libertà: altrimenti non ce la si fa…”.

IL VERO MIRACOLO
Dalla terrazza ancora da completare si vedono il Vioz e il Cevedale e, se ci si gira, anche il Brenta. Il sole gioca ancora con le cime innevate, le accarezza dipingendole d’oro. “Non servirebbe molto a dare un po’ di sollievo al nostro Diego, una fisioterapia costante, la logopedia”, sospira mamma Luciana. “Ma qui siamo in capo al mondo e sembra tutto così maledettamente difficile; noi vogliamo solo che non soffra…”. Rientriamo, attraversando la nuova camera dove risalta un bel cartellone colorato di auguri per i suoi 27 anni, compiuti il primo luglio. “Scusaci sai, abbiamo parlato troppo di te oggi”. Luciana accarezza dolcemente la fronte al figlio, gli tiene la mano. “Sa, senza la fede certe situazioni mica si riescono a superare. Ma alla fine, il vero miracolo è saper accettare. E andare avanti”.

Una tenera stretta di mano. Foto © Gianni Zotta
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