Giorgio Postal, l’impegno per la rappacificazione

Consegna del sigillo di Trento a Giorgio Postal

lo spunto
Caro Sindaco, sono venuto al mondo in Piazza XXVIII ottobre a Trento, l’attuale Piazza Centa, a significare che eravamo ancora in regime fascista, in una casa popolare adibita adesso a sede dei Vigili del Fuoco, giusto in tempo per scansare l’inquadramento nei Balilla. Ho visto sia pure da lontano il fumo e il polverone sollevato dal bombardamento del Ponte di S. Lorenzo, ho frequentato le elementari alle scuole Verdi, prima che diventassero la sede di Sociologia; ho frequentato i Polentoni , cosi chiamavamo allora il Ginnasio- Liceo Arcivescovile, guidato da maestri straordinari, poi l’università, l’apprendistato alla politica e la politica. Poi è seguita quella che io considero una seconda vita. Sono molto grato a chi mi ha chiamato alla presidenza della Fondazione Museo storico del Trentino, dandomi in tal modo la grande opportunità di dare testimonianza su alcune fasi decisive della nostra storia recente, talvolta anche con l’input alla revisione delle vulgate figlie delle passioni politiche di un tempo passato e al recupero delle dimensioni europee. Per dirla con Gustav Mahler “La tradizione non è conservare le ceneri, ma alimentare il fuoco”.
Giorgio Postal
(Trento, Palazzo Geremia, 12 marzo, in occasione del conferimento dell’Aquila di San Venceslao, sigillo della città, da parte del sindaco Franco Janeselli)

Le parole con cui Giorgio Postal, presidente del Museo storico del Trentino, per anni esponente di spicco della Democrazia Cristiana (giovane segretario provinciale, rappresentante al Parlamento per tre legislature alla Camera e per tre al Senato, sottosegretario in molti governi) ha accolto il sigillo dell’Aquila di San Venceslao non sono state di circostanza, ma quasi un breve manifesto sul Trentino, sulla sua identità, sul ruolo dell’autonomia in Italia e in Europa.
Non è mancato un riferimento all’Alto Adige, partner della Regione, “pacificato” dopo il terrorismo grazie al “Pacchetto” che vide un’ intensa azione politica anche trentina, ma negli ultimi tempi lontano, se non ignorato. Va detto subito che l’Aquila, nera e “ardente” di San Vencesalo, non è una variante della rossa aquila tirolese. Rappresenta, nel simbolo araldico, una dimensione mitteleuropea che comprende il sacro romano impero ed esprime al tempo stesso le aspirazioni di autonomia, nella cornice fra Italia e Germania (gli imperatori tedeschi venivano incoronati a Roma) dei territori che ne facevano parte. L’aquila “ardente” viene dalla Boemia (a San Venceslao è dedicata la cattedrale di Praga) e fu ottenuta dal principe vescovo Nicola da Bruna (oggi Brno) nel 1307, ripresa poi da Rodolfo Belenzani nel 1407, dopo la rivolta, per il Comune di Trento. Porta sul petto le fiamme rosse che significano il diritto, e l’impegno, del potere politico ad accendere “fuochi”, a promuovere quindi “focolari”, famiglie e comunità nei paesi e nelle valli. Un’aquila alpina di convivenza, non di dominio.

Il discorso di Postal, ricco di spunti, presenta due chiavi di lettura. La prima si riferisce ai rapporti dell’autonomia trentina con i mondi di cui è cerniera e per molti versi garante. È un ruolo di collegamento con il mondo tedesco e di responsabilità esemplare -laboratorio di lavoro e socialità, cooperazione e innovazione, cultura e naturalità – verso quello italiano. Non avere di più, ma dare di più. Fare meglio. Così intese l’autonomia Alcide Degasperi dopo il trattato di Parigi con Gruber (“un trentino prestato all’Italia”) così operò Bruno Kessler con il Pup, i Parchi, l’Università. Così fece anche Piccoli a Roma, per districare l’autonomia dai pregiudizi parlamentari e dalle ostilità degli apparati.

Non vi sarebbero né autonomia, né università se fosse mancata una tessitura continua a Roma per poter mantenere uno sguardo aperto verso Bolzano, fucina difficile ma affascinante di incontri fra lingue e appartenenze, a Vienna, patria europea comune, porta verso le culture danubiane, ad Augsburg, terminale germanico della romana via Claudia Augusta. Questo ha voluto dire Postal quando, ringraziando, ha lamentato un Trentino spesso dimentico del suo ruolo oltre le Alpi.

L’altro aspetto è propriamente politico. Il momento e lo stile della cerimonia hanno segnato infatti, forse in modo inconsapevole ma evidente, una sorta di “rappacificazione” del Trentino con il suo passato politico, una riappropriazione della propria storia. Perché Giorgio Postal è stato uomo di partito, ma ha avuto una visione progettuale ampia sullo scenario dei territori. Non ci sarebbe Trento senza Bolzano, e senza il Trentino Bolzano tornerebbe decentrato. In questo Postal ha portato sulle sue spalle anche pesi che erano di altri. Ha attraversato, rischiando di persona, le contraddizioni del Sessantotto, con i suoi scossoni nella Chiesa e nell’editoria. Ha preparato il “Pacchetto” nella commissione dei 19, e da sottosegretario alla ricerca scientifica fu determinante, con Fabio Ferrari nel costruire un’Università d’eccellenza, non “mega” per farne un “business” (tentazione sempre ricorrente) ma con professori residenti e con studenti seguiti e motivati. Agli Interni visse amaramente gli “ultimi giorni” della Dc e i tentativi di destabilizzare lo Stato, tanto che a Palermo doveva alloggiare nella caserma dei carabinieri.

Tutti questi elementi di politica e storia sono confluiti il 12 marzo sotto le ali dell’aquila ardente, con il sindaco Ianeselli, che proviene dal sindacato, Giuseppe Ferrandi del Museo Storico e Paolo Piccoli, ora presidente del consiglio comunale a portare il saluto della città. La proposta al sindaco era venuta da un gruppo di cittadini “trasversale” e la giornata ha quindi rappresentato una “ricomposizione” che ha onorato un uomo, ma ha fatto anche i conti con l’ultimo mezzo secolo di storia trentina. Diventando così una buona occasione per ripartire, più sereni e consapevoli, insieme verso il futuro.

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