Ma il rosario non è un bancomat

foto SIR/Marco Calvarese

Vengono utili per riflettere sullo stile della preghiera (non solo del rosario) le critiche alla “maratona” di maggio per chiedere la fine della pandemia: proposta anacronistica – si è scritto – che rafforzerebbe un’idea mercantile del pregare. Tot avemarie, tot risposte.

Come se Dio fosse un mago della contabilità, molto sensibile al bancomat. Se la imponiamo con enfasi, scrivendo Rosario con la erre maiuscola, come fosse un sacramento, e senza spiegarne il significato, rischiamo che sulla qualità di questa preghiera prevalga una percezione quantitativa: prega meglio chi dice più “corone” e guai dimenticare una delle dieci avemarie. Sarebbe sì un ritorno quasi superstizioso a certi formalismi di epoche passate, che lo stesso papa Francesco non vuole ripetere quando nella Evangelii Gaudium parla di “purificazione” della devozione popolare. E sarebbe una controtestimonianza per i giovani che avvertono il lento rosario come lontano dalla loro sensibilità, una ripetitività talora perfino biascicata a voce bassa: ave-maria-santa-maria-cosissia.

Invece, come constatiamo ai pellegrinaggi notturni al santuario di Montagnaga di Pinè, i giovani riescono a consegnare a quelle dieci avemarie il respiro personale e profondo delle loro attese, se sono il frutto di silenzio, se vengono introdotte e commentate, aggiornate nelle intenzioni. Più che un mantra meccanico e ossessivo, quella corale invocazione ripetuta diventa semmai l’insistenza su un valore. Quasi come alla ragazza del cuore non ci si stanca di ricordare TVB (Ti Voglio Bene) al termine di ogni messaggino.

Fra le dimensioni da purificare della preghiera del rosario affinché essa aiuti a far crescere una spiritualità evangelica c’è anche il “ruolo” di intercessione della Madonna: non tanto per una conseguente subalternità femminile (che ci vorremmo augurare definitivamente archiviata dopo la riflessione “di genere” maturata anche in tanti ambienti ecclesiali), quanto invece per un attribuire a Maria quasi un’efficacia superiore nella risposta, dei superpoteri alimentati da certi devozionalismi superficiali e dalla moltiplicazione di apparizioni che Bergoglio ha stigmatizzato con la battuta: “La Madonna non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni…”.

Il fondamento della nostra fede rimane il Cristo, la sua morte e resurrezione. Che deve rimanere anche al centro di ogni nostra relazione con il Padre e che – a ben guardare – attraversa e permea la stessa formula del rosario. In tutti i misteri – gaudiosi, dolorosi e gloriosi (termini che le giovani generazioni trovano indigesti) più quelli della luce, introdotti da Giovanni Paolo II – sono sempre i brani del Vangelo con le opere del Figlio di Dio suggerite alla nostra meditazione.

Non a caso il Papa ha chiesto che essi vengano letti integralmente nel collegamento quotidiano di maggio alle ore 18. Preceduti dal Padre Nostro, parola di Gesù. Perché proprio una “maratona” fra santuari che fa pensare a certe “catene di Sant’Antonio”? Francesco non fa turismo religioso, pensa al richiamo del Vangelo di Luca (18, 1-6) a “pregare sempre senza stancarsi mai” e punta su quest’iniziativa “popolarmente evangelica”: il coinvolgimento dei santuari nel mondo vuole forse ridestare – proprio a livello popolare – una certa coscienza della “cattolicità”. Così l’intenzione personale – della preghiera insostibuibile – si rinforza del sostegno comunitario: ci ricorda che siamo popolo di Dio, in una fraternità universale. Il rosario unisce, non deve dividere, tanto meno isolare.

Infine, la critica più diffusa all’iniziativa del Papa: chiedere a Dio che faccia finire la pandemia sarebbe irrazionale e fuorviante, perché non è stata una condanna da lui voluta (la bestemmia che purtroppo abbiamo sentito nei mesi scorsi): siamo sempre più consapevoli di una responsabilità umana, non solo naturale, nel contagio globale. Sarebbe un’idea sbagliata quella di un Dio onnipotente che assiste immobile, sadico, alle tragedie dell’umanità.

Dobbiamo però ricordare che la preghiera di richiesta è tutt’altro che sconsigliata nella Parola di Dio ( nel libro del Siracide 38,1-14 l’opera del medico si combina con l’opera di Dio da supplicare con la preghiera). Essa è umanamente comprensibile, se costituisce un atto di fiducia e di riconoscimento della paternità di Dio: la ritroviamo anche sulla bocca di Gesù: “Padre, allontana da me…”. Più che “usare” la moltiplicazione mondiale dei rosari come se Dio ricompensasse solo un surplus d’invocazioni, cogliamo la “maratona” del Papa come un’azione autoeducativa: a riconoscere che il Signore della vita non ci abbandona, ci accompagna anche nei passaggi stretti, come singoli e come popolo. Condivide il respiro corto, ci fa sentire la sua mano e la sua consolazione: per questo lo preghiamo anche per i nostri ammalati, gli affidiamo i nostri defunti. E pure – sono tutte intenzioni del Papa – preghiamo per chi può curare (i sanitari) e per chi deve fare scelte politiche. Su suggerimento di un prete amico potremmo infine aggiungere un’intenzione forse trascurata: preghiamo “non solo per uscire dalla pandemia, ma per uscirne …migliori”.

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