La strada di Giuliana, dalla Palestina al Sudan, perseguendo la giustizia sociale

Profughi da Tigrai

“Sono sempre stata alla ricerca del senso della mia vita, convinta che ognuno di noi ha il suo posto nel mondo e una strada da percorrere per la realizzazione di se stesso, e che la realizzazione di sé contribuisce al miglioramento del mondo”. Giuliana Schirò è sempre stata molto interessata alle questioni del mondo con un gran senso della giustizia e il bisogno di difendere i più deboli.

Questo si è mostrato in qualsiasi aspetto della sua vita, fin da piccola, dal suo senso di protezione nei confronti dei genitori e dei compagni di scuola così come dal suo istintivo interesse nei confronti dei Palestinesi, che vedeva in televisione durante la guerra in Libano affrontare dei carri armati muniti di semplici pietre. “Ovviamente a sei anni, tanti ne avevo allora, non conoscevo nulla delle questioni internazionali, ma percepivo comunque un istintivo sentimento di ingiustizia data la disparità in cui si trovavano le due parti coinvolte”.

Giuliana Schirò

Il senso di giustizia è quello che ha improntato la sua giovane vita e ogni scelta che ha compiuto. “Non ho sempre pensato che avrei fatto il lavoro che faccio ora, ma sicuramente desideravo mettermi a servizio dell’altro e promuovere la giustizia. Per un certo periodo, per esempio, ho pensato che la mia strada fosse la magistratura, ed in particolare la lotta alla mafia, anche sulla scia delle emozioni create dagli attentati a Falcone e Borsellino nel 1992. Allora avevo quasi 18 anni ed ero nella fase in cui dovevo decidere a che facoltà mi dovevo iscrivere e quale percorso volevo intraprendere nella mia carriera professionale”.

Sceglie di fare giurisprudenza all’Università di Pavia. Ma, dopo aver partecipato a una delle prime giornate organizzate a Milano sulla presentazione delle cosiddette “carriere internazionali” per chi era interessato a lavorare in ambito diplomatico, in organizzazioni non governative o internazionali, Nazioni Unite o Istituzioni dell’Unione Europea, decide che era quella la sua strada.

Da allora, tutti i suoi sforzi sono concentrati nel costruirsi un curriculum adeguato a questa carriera, nella convinzione che gli ideali che devono spingere a scegliere tale vita non sono sufficienti e devono assolutamente essere accompagnati da un’adeguata preparazione. “Per questo frequentai due Master su tematiche relative a Diritti Umani, Cooperazione Internazionale, Gestione dei Conflitti, all’Università di Roma3 e alla Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento, due stage all’estero (a Gerusalemme e a Bruxelles) e una serie di corsi di lingue in inglese e francese in Italia e all’estero”.

In Trentino, mentre lavora come supplente di diritto ed economia in varie scuole superiori, entra in contatto con l’associazione “Pace per Gerusalemme”, che si occupava di informare sulla questione israelo-palestinese nelle scuole e organizzando incontri e conferenze in tutto il Trentino. Subito viene inserita nelle attività dell’associazione, anche grazie alle conoscenze acquisite dopo l’esperienza fatta a Gerusalemme per 5 mesi nel 2005. L’associazione operava sia in Trentino che in Palestina, in particolare a Beit Jala (nell’area di Betlemme) dove la Provincia Autonoma di Trento aveva finanziato la costruzione di un centro giovanile.

Per due anni (dal 2009 al 2011) è volontaria dell’associazione in Trentino e, infine, decide con altri di presentare alla Provincia un progetto triennale relativo alla realizzazione di attività culturali nel centro giovanile di Beit Jala. “Partii per la Palestina a settembre 2011 per essere la coordinatrice di tale progetto”. Con periodi di stacco più o meno lunghi, è rimasta a lavorare in Palestina fino alla fine del 2020.

Profughi tigrini che fuggono in Sudan

“La Palestina è diventata la mia seconda casa (a volte ho sentito che fosse addirittura la prima casa), dove si trovano tuttora i miei più cari amici, la mia famiglia. Questa è diventata la mia vita, non l’ho mai considerata un semplice lavoro ma una scelta di vita importante e portata avanti con consapevolezza e responsabilità. Questa scelta mi ha consentito di venire a contatto con tante persone forti e appassionate, di conoscere e vedere il male del mondo, mi ha dato la soddisfazione di sentirmi dalla parte del ‘giusto’, mi ha dato la frustrazione di sentirmi impotente e di non vedere il cambiamento auspicato, ma tutti questi sentimenti fanno parte della vita, se la si vive pienamente”.

A conclusione dell’esperienza palestinese, Giuliana si è trasferita in Sudan, dove ha iniziato a lavorare nell’ufficio emergenza di AICS, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, cioè la cooperazione gestita dal governo italiano. “Un nuovo Paese e una nuova cultura da scoprire, nuove amicizie, nuovi progetti e attività; tutto ciò mi ha attirato nella scelta di cambiare Paese e lavoro”.

“Il Sudan è uno dei Paesi più poveri al mondo, caratterizzato da crisi emergenziali legate alla cosiddetta stagione delle piogge, che dura per 2-3 mesi nel periodo maggio-luglio. A seguito di tali piogge si producono alluvioni con centinaia di morti e migliaia di sfollati, epidemie di malaria, varie tipologie di febbri, colera. Quest’anno, oltre a queste crisi ricorrenti legate a fattori climatici, si sono avute molte altre emergenze quali il Covid-19, le esondazioni eccezionali del Nilo che ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi cento anni, l’epidemia di Polio (che era appena stata dichiarata debellata nel continente africano), il conflitto interetnico scoppiato nella regione del Tigrai in Etiopia, che ha fatto scappare più di 60.000 profughi verso il Sudan in cerca di salvezza”.

“Con il settore emergenza AICS può agire con interventi di supporto delle popolazioni colpite da disastri naturali o conflitti. Il mio compito è di gestire tali interventi in tutto il Sudan (che è un Paese molto grande, costituito da 18 Stati)”. Giuliana è in Sudan da febbraio 2020 e quest’anno ha assistito a molte emergenze. “Sono stata particolarmente colpita dalla situazione dei profughi del Tigrai e ho visitato più volte i campi allestiti per l’accoglienza a tali persone, ascoltando storie strazianti di violenze e disperazione, accuse rivolte verso il Presidente dell’Etiopia Abiy Ahmed e appelli a fare qualcosa”.

“Fare questo lavoro non è facile ma è quello per cui sento di essere nata e a cui mi portano le mie predisposizioni naturali, il mio carattere, i miei principi e valori”.

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