La sindemia accentua l’allarme demografico

Il punto nascite di Cavalese

La linea delle nascite scende in picchiata da vent’anni, quella delle morti invece sale a picco nel 2020. Spicca sul grafico della statistica, ma lo squilibrio demografico si coglie anche nei fatti di ogni giorno: il necrologio del parroco accasciatosi domenica sera ci ricorda che nell’ultimo anno sono morti ben 38 preti (su 280). Lo stesso giorno, su Facebook, leggiamo però anche il benvenuto di una mamma giornalista al suo secondogenito: “L’amore non si divide, si moltiplica“. Dal premier Draghi, venerdì agli Stati Generali della Natalità, è venuto il crudo dato sul declino del 2020: “In Italia non nascevano così pochi bambini dal 1861

L’ asciutto intervento del presidente del Consiglio dei Ministri, nel suo stile lapidario, ha costretto anche i grandi quotidiani ad amplificare finalmente nel titolo di copertina (“Un’Italia senza figli è  destinata a scomparire”) l’allarme demografico da tempo segnalato dalle associazioni familiari. Con l’ausilio di poche eloquenti cifre, Draghi ha dimostrato che le coppie italiane vorrebbero in media due figli, ma ne hanno meno di 1,5, commentando che “la consapevolezza dell’importanza di avere figli è un prodotto del miglioramento della condizione della donna, e non antitetico alla sua emancipazione”. Ha aggiunto che “lo Stato deve dunque accompagnare questa nuova consapevolezza, continuare a investire sul miglioramento delle condizioni femminili. E mettere la società – donne e uomini – in grado di avere figli”.

È implicito un mea culpa sugli errori del passato quando – come ha scritto l’economista Federico Fubini il giorno dopo sul Corriere della Sera – non si è mai governato il fenomeno e non si è considerata la demografia come l’infrastruttura di base di una comunità, “spina dorsale della nazione”, come ritengono i francesi. “Il risultato è che dopo la guerra gli italiani erano tre milioni più dei francesi e ora sono 8 di meno”, taglia corto Fubini, che indica a Draghi quella demografica come una sfida pluridecennale ma decisiva, “che va oltre la vita del suo governo”. Ma l’intervento del premier è stato chiarificatore anche nel rilevare che “l’Italia soffriva di un preoccupante e perdurante declino di natalità” da molti anni e che la crisi sanitaria lo ha ulteriormente accentuato. Vale anche per il Trentino: se negli ultimi anni il saldo migratorio aveva mantenuto la popolazione in crescita compensando il calo continuo delle nascite dell’ultimo decennio, ora notiamo che siamo comunque una Provincia dal saldo naturale negativo. E già invecchiata: pensate che metà dei Trentini oggi ha almeno 45 anni, quando lo stesso parametro a livello nazionale (l’Italia ha purtroppo l’età mediana più alta d’Europa) dice che metà degli italiani ha almeno 47 anni.

La sindemia (come abbiamo imparato a chiamare la pandemia per coglierne il suo aspetto globale) ha colpito duro sullo squilibrio demografico in Trentino: nel 2020 la natalità ha accentuato il processo di decrescita in atto da circa un decennio, ma il Covid-19 ha inciso pesantemente sulla mortalità, registrando per la prima volta dopo decenni un saldo naturale molto negativo, che non riesce più ad essere bilanciato dal consistente saldo migratorio. Come rileva anche il Forum trentino per le associazioni famigliari l’apprezzato “modello trentino” va ancora sviluppato e armonizzato con le misure nazionali dell’assegno unico e del Family act che il premier Draghi e la ministra Bonetti hanno promesso “come misure di lungo periodo, anche dopo il nostro governo”.

Più volte abbiamo evidenziato gli aspetti culturali e educativi che possono invertire la rotta demografica. Questi mesi di crisi ci hanno mostrato le conseguenze concrete pure nell’economia domestica: “ Poiché in media un italiano spende quasi 17 mila euro all’anno in consumi (mangiare, vestirsi, riscaldarsi o andare in vacanza) – è il semplice calcolo di Fubini – oltre un milione di abitanti in meno alla lunga creano differenze strutturali. Equivalgono all’uno per cento di prodotto interno lordo in meno, ogni anno: meno consumi, minore fatturato delle imprese, meno investimenti per vendere prodotti a una platea che si restringe e invecchia, meno gettito fiscale, meno capacità di sostenere i sistemi di welfare”.

È in gioco quella che il Papa nel suo intervento agli Stati Generali ha definito “la sostenibilità intergenerazionale”: “Non saremo in grado di alimentare la produzione e di custodire l’ambiente se non saremo attenti alle famiglie e ai figli. La crescita sostenibile passa da qui – ha detto Francesco in evidente sintonia con Mario Draghi -. La storia lo insegna. Durante le fasi di ricostruzione seguite alle guerre, che nei secoli scorsi hanno devastato l’Europa e il mondo, non c’è stata ripartenza senza un’esplosione di nascite, senza la capacità di infondere fiducia e speranza alle giovani generazioni. Anche oggi ci troviamo in una situazione di ripartenza, tanto difficile quanto gravida di attese: non possiamo seguire modelli miopi di crescita, come se per preparare il domani servisse solo qualche frettoloso aggiustamento. No, le cifre drammatiche delle nascite e quelle spaventose della pandemia chiedono cambiamento e responsabilità”.

Dobbiamo attrezzarci anche davanti alla proiezione trentina ricavata dal Servizio Statistica provinciale. Se nel 2000 avevamo in Trentino un 21.6% di anziani e un 17.7% di minori e attualmente registriamo un 22.4% di over 65 e ancora un 17.6% di under 17, fra dieci anni saliremo rispettivamente al 25% e scenderemo al 15.5%, fra 20 anni al 27.2, e al 15 per cento. Forse siamo ancora in tempo per prevenire questo sbilanciamento che graverà sulle generazioni di mezzo e le loro famiglie.

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