Marchio di famiglia in casa Trinità

FATE DISCEPOLI TUTTI I POPOLI Gesù ci invita oggi a diffondere il Vangelo nel mondo: come possiamo farlo, a partire dal nostro piccolo mondo Oggi gli strumenti di comunicazione abbondano, ma la sfida più grande è nell’incontro vero con il volto dell’altro, con le nostre parole ma soprattutto con le nostre azioni. Gesù non è più fisicamente fra noi, ma può essere riconosciuto attraverso i nostri gesti d’amore, di giustizia, di cura. È meraviglioso pensare che in ogni persona che incontriamo, dalla più saggia alla più antipatica, dalla più timida alla più chiacchierona, è custodita una scintilla dell’amore di Dio capace di brillare e diffondere la luce. Consiglio creativo: dopo aver colorato i volti delle persone con sfumature diverse, usa dei fili di lana colorati per ricreare i capelli di ciascuno, incollandoli sul foglio in pettinature fantasiose. Non limitarti solo alle tinte “classiche”, ma usa anche colori sgargianti e accostamenti vivaci: la diversità – inclusiva – è assicurata, con una scintilla di allegra follia! (illustrazione di Lorena Martinello)

DOMENICA 30 MAGGIO 2021 – SANTISSIMA TRINITÀ – ANNO B

Dt 4,32-34,39-40 – Rm 8,14-17 – Mt 28,16-20

Non è facile raccontare la Trinità, ma è meraviglioso scoprire quello che questa solennità ci trasmette. Anzitutto l’immagine di un Dio che non è chiuso in se stesso, che è dialogo e grande esperienza d’amore. Don Tonino Bello, compianto vescovo di Molfetta, racconta in un suo libro, che mentre si accingeva a preparare la predica sulla Trinità, gli fece visita un amico prete, che gli raccontò il suo modo di spiegare agli zingari questo mistero cristiano.

Gli disse: «Io ai miei zingari non parlo di uno più uno più uno, perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno. E così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni persona vive per l’altra. E poi come concludo? Dicendo che questo è una specie di marchio di famiglia, una forma di “carattere ereditario” così dominante in “casa Trinità”, che anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l’uomo per gli altri» (Alla finestra della speranza). E così il Dio misterioso, il Dio ineffabile di cui Mosè non può vedere il volto, ma vede soltanto «di spalle», ci offre qualcosa della sua vita intima. È il Dio per l’altro, il Dio che trabocca d’amore per ogni sua creatura e che non sopporta nulla di ciò che ferisce l’uomo non solo nella sua dignità di persona, nella sua aspirazione di uguaglianza, ma anche nel rispetto della sua individualità.

Le tre persone divine che non si confondono, che mantengono sempre i lineamenti di Padre, Figlio e Spirito, mettono sotto accusa ogni sistema spersonalizzante di livellamento e di massificazione. «Contesta alla radice la boria degli Stati che menano vanto dalla crescita del prodotto interno lordo, mentre i singoli muoiono di fame». La Trinità ci racconta anche di un incontro tra la perfezione di Dio e la fragilità degli uomini. Lo scopriamo leggendo il brano di Matteo, che la liturgia ci presenta oggi. Ci sono gli apostoli: vanno tutti all’ultimo appuntamento sul monte di Galilea. Vanno con frammenti di fede, come comunità ferita che ha conosciuto il tradimento, l’abbandono, la sorte tragica di Giuda. È una comunità che crede e che dubita: «quando lo videro si prostrarono. Essi però dubitarono».

Anche noi possiamo riconoscerci in questa fede vulnerabile. Gesù ci sorprende ancora una volta. Anziché risentirsi e chiudersi nella delusione «si avvicinò e disse loro…». Egli non si stanca di farsi incontro, di cercare e di incoraggiare. In Gesù scopriamo un Dio che non può esistere senza le sue creature, vuole stare con loro e non allontanarsi mai. Poi Gesù invia queste persone dubitanti ad annunciare la sua bella notizia, che non avrebbe abbandonato nessuno.

Li invia a raggiungere tutti, a gioire delle diversità… battezzando, immergendo ogni vita in Dio. Li invita a farlo «nel nome del Padre»: cuore che pulsa nel cuore del mondo, «nel nome del Figlio», nella fragilità del Figlio di Maria morto nella carne; «nel nome dello Spirito Santo: del vento santo che porta pollini di primavera e non lascia dormire la polvere» (Davide Maria Turoldo).

Ed ecco che la stessa vita di Dio non è più estranea alla nostra fragilità, né al dolore, né alla felicità degli uomini, ma diventa storia di tutti, racconto di debolezza e di forza non affidato alle migliori
intelligenze del tempo, ma a undici illetterati che dubitano, che si sentono «piccoli ma invasati e abbracciati dal mistero» (Angelo Casati). E il Dio trinitario sarà con noi «fino alla fine dei tempi». Sarà un seme che cresce, l’inizio della nostra guarigione.

E secondo voi?
Sono capace di apprezzare le differenze, di rispettare l’originalità di ogni persona?
Siamo comunità che si riconosce fragile e bisognosa di essere accompagnata dalla Trinità?

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