Oltre gli schemi nostri

Illustrazione di Lorena Martinello

Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15

Spesso viene da pensare che anche per molti cristiani riesce difficile se non impossibile cogliere tutta la profondità della loro professione di fede. Il mistero della Trinità, ad esempio, rimane quasi sempre sullo sfondo. Pare una sorta di elucubrazione fatta da qualche teologo o studioso che resta lontana, senza un grande significato. Eppure non è così, perché proprio questa idea, questo mistero della Trinità fa saltare un’idea diffusa di Dio. Si pensa infatti troppe volte a un Dio lontano, chiuso nel suo cielo, che fatica a comunicare con gli uomini. Come se non si fosse fatto uomo, come se non avesse instaurato da sempre un rapporto strettissimo con l’umanità.

Forse è tipico di ogni religione immaginarsi un Dio che giudica e poi condanna, un Dio che premia i buoni e punisce i malvagi. Ma Gesù smentisce questa immagine, perché, dice che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto». Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per l’umanità. Credere in lui non vuol dire seguire una dottrina, ma piuttosto aderire alla sua persona e al suo messaggio. E dunque significa essere certi che la sua volontà è «che nessuno vada perduto, ma abbia la vita eterna». Tutti siamo chiamati a realizzarci come uomini e come donne capaci di amare, che amano la libertà. Non ci può essere rigidità nell’accogliere qualcuno, perché nella rigidità lo Spirito non trova posto. (conf. Atti 15,28) E la Trinità ci insegna che «l’aspirazione più profonda dell’amore è quella di diventare l’altro, pur rimanendo se stesso. Essa è insieme l’amante, l’amato e l’amore».

Per questo S. Anselmo d’ Aosta la definiva «luce al di sopra di ogni luce, bellezza al di sopra di ogni bellezza, saggezza al di sopra di ogni saggezza». Credere nella Trinità non è senza conseguenze: non si può, infatti, vivere chiusi nei propri pensieri, nel proprio cuore; non è possibile non saper scegliere ciò che è bene per l’intera umanità, per difendere se stessi o i propri amici, o i propri connazionali, e nemmeno chi ha l’identica religione. Scriveva Tonino Bello, compianto vescovo di Barletta, a proposito di questa festa: «Tre persone uguali e distinte. Uguali: a tal punto che il Padre non è più grande neppure del Figlio e lo Spirito non è inferiore né all’uno né all’altro. Ma perché mai l’Eterno è venuto a raccontarsi nel tempo, se non per introdurre nella storia l’esigenza della pari dignità tra gli uomini, che poi è il principio di ogni comunione vera? Che cosa ha spinto Gesù a rivelarci questo “segreto di casa”, se non il bisogno di costringerci al rifiuto di ogni discriminazione di razza, di cultura, di ricchezza? E perché dopo secoli di cristianesimo l’ingiustizia imperversa e il potere dell’uomo sull’uomo umilia ancora la turba dei poveri? Ma perché sui banchi di teologia abbiamo consumato tanto tempo per studiare l’uguaglianza delle persone divine, se poi non alziamo la voce per mettere in discussione questo perverso sistema economico che fa morire di fame ogni anno cinquanta milioni di fratelli?

Che senso hanno i nostri segni di croce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo se non ci battiamo perché a tutti gli oppressi del terzo mondo (ma anche a quelli del primo e del secondo) vengano riconosciuti i più elementari diritti umani? Quando riusciremo a capire che le ingiustizie (anche quelle nostre, private) non solo sono causa di tutte le guerre, ma sono anche eresie trinitarie?» Vivere questo giorno di festa vuol dire chiederci se la Trinità è per noi forza che sconvolge i nostri schemi fatti spesso di egoismo e disprezzo per chi è diverso, per costruire non un mondo cristiano, ma pienamente umano. Là scopriremo la bellezza del Dio uno e trino.

Sono convinto che solo accogliendo la diversità e lottando per una umanità dove sono rispettati i diritti di tutti sono testimone vero della Trinità? So cogliere il bene presente ovunque o prima di tutto mi difendo da chi non la pensa come me?

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