Chi salverà le api, minacciate su più fronti?

Api nell’arnia

Il 20 maggio scorso si è celebrata la Giornata mondiale delle api, una data importante per ricordare a tutti che la funzione di questo piccolo grande insetto, cioè l’impollinazione, è alla base della nostra sopravvivenza e dell’ambiente in cui viviamo.

L’ape fornisce un servizio all’ecosistema di lampante utilità; da anni però i cambiamenti climatici, i parassiti e l’agricoltura intensiva hanno compromesso la sopravvivenza di questi imenotteri provocandone un declino vistoso. Ne sa qualcosa Marco Vettori, presidente dell’associazione “Apicoltori di Fiemme e Fassa che esiste da una trentina d’anni e a oggi conta circa 160 soci. “Ogni anno organizziamo il corso per principianti, le iscrizioni sono sempre di più”, racconta soddisfatto Vettori. A fine corso pochi di loro diventeranno allevatori di “apis mellifera”, ma stupisce positivamente il grande interesse e la curiosità.

Nelle valli di Fiemme e Fassa ogni apicoltore possiede circa 15 alveari. Se ne trovano in ogni paese: da Molina di Fiemme a quota 900, fino ai 1.450 metri di Canazei.

Il calo nella produzione di miele e un’elevata mortalità, sono i segnali di due problemi grossi che anche gli apicoltori di Fiemme e Fassa devono affrontare. “La prima minaccia è dovuta alla globalizzazione ed è l’acaro varroa – chiarisce il presidente – arrivato in Italia dall’Oriente intorno agli anni Ottanta del secolo scorso. Un massiccio attacco di questo acaro – prosegue Vettori – porta alla morte l’intera colonia”. Se riconosciuto tempestivamente, lo si può però combattere usando acidi di origine naturale (ossalico) e tecniche apistiche di contenimento con l’aiuto di un tecnico.

“La seconda minaccia è quella dei cambiamenti climatici, in particolare sono dannose le estremizzazioni degli eventi atmosferici – precisa Vettori – quest’anno c’è stato un inverno lungo e l’inizio della primavera caratterizzato da giornate molto calde alternate a giornate fredde, piovose e anche nevose da noi”. L’alveare in primavera inizia a crescere perché l’ape regina depone numerose uova. C’è bisogno perciò di calore all’interno e le api devono uscire per cercare il cibo, nettare e polline, per alimentare le nuove nate e loro stesse e “non trovando fiori perché bruciati dal freddo o perché non ce ne sono – riferisce il presidente – rischiano di morire di fame. L’apicoltore interviene con sciroppi di zucchero, per sostituire il nettare, mentre il polline non è sostituibile: solo i fiori lo hanno”. Ma di fiori, sui prati di fondovalle, se ne vedono sempre meno. Sia sulle grandi superfici sia sugli orti abbandonati, spadroneggiano poche specie e qualcuna può risultare anche infestante.

C’è chi pensa che la causa sia la zootecnia intensiva – lo ha scritto il consigliere di minoranza Dino Degaudenz nella sua recente mozione presentata al Consiglio Comunale di Predazzo – che nelle zone di Fiemme e Fassa ha un ruolo importante nell’economia. Certamente c’è stato un grande cambiamento da un passato in cui molte famiglie possedevano 2-3 capi per sostentamento, ad oggi con poche grandi stalle con molte bestie che necessitano di grandi quantità di foraggio e che producono elevate quantità di refluo. Nei decenni scorsi questi ultimi sono stati sparsi tal quali in grandi quantità su poche superfici di fondovalle, perciò l’elevata carica di azoto e di altri componenti hanno distrutto molte specie di piante e fiori spontanei. Anche se ora con il biodigestore si è risolto almeno in parte il problema resta comunque il fatto che “il sistema è sbilanciato verso la zootecnia – sostiene Vettori – quindi per cercare di riportare l’ecosistema in equilibrio bisogna trovare un compromesso tra le parti. A questo proposito – segnala il presidente – la Fondazione Edmund Mach sta studiando come rigenerare, dal punto di vista della biodiversità, i nuovi spazi aperti provocati dalla tempesta Vaia e come gestirli in maniera più sostenibile”.

Qualche anno fa a Predazzo erano state costruite delle fasce, seminate con diversi fiori, lungo le stradine della campagna grazie all’idea di un apicoltore del paese “e questo è un esempio di compromesso che però – sottolinea Vettori – sarebbe utile strutturare, cioè farlo in più zone del fondovalle, perché mitiga le criticità e accontenta tutti: residenti, turisti e apicoltori”.

Apicoltori che per altro, già in passato, si erano proposti alle amministrazioni dei Comuni come supporto per eventuali progetti di rinverdimento e ripristino della natura. “Volentieri parteciperemo ad un eventuale tavolo di confronto e di lavoro – chiosa il presidente Marco Vettori – per contribuire con le nostre conoscenze a rendere gli ecosistemi delle nostre valli in equilibrio con le realtà economiche essenziali”.

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