Campioni d’Europa. È davvero tornata a casa

#itscomingrome : l’hashtag della finalissima nella vignetta di Giorgio Romanoni

Abbiamo vinto, e abbiamo vinto insieme. La prima cosa bella di queste notti magiche vissute tra Roma e Londra è proprio questa: lo stupore di ritrovarsi seduti davanti a un maxischermo, al tavolino di un bar, nel giardino di casa allestito come tribuna familiare. E seguire i rigori in piedi, abbracciati come gli azzurri e perdere come sempre il conteggio, un po’ com’è successo a Donnarumma sull’ultima, decisiva, parata.

Siamo tornati a gioire insieme, anche con qualche eccesso, dopo un anno e mezzo tremendo. Attenzione, anche se bellissime, le notti magiche “senza pensieri e con il cuore in gola”, non possono cancellarlo. Ci vorrà del tempo supplementare, tanto, speriamo non troppo. Non si rialza un Paese come si alza una Coppa. Sarebbe troppo bello, troppo facile. Ma la gioia, l’allegria e la speranza che la Nazionale ha saputo regalarci non le dimenticheremo facilmente. Ci voleva, davvero.

Gli abbracci a fine gara, le lacrime vere, le parole che escono a fatica nelle interviste a caldo, la voglia di festeggiare il momento fin qui più alto di un’intera carriera: la normalità bella e unica di un gruppo di ragazzi normali che su quella normalità spesso bistrattata dal calcio dei contratti milionari hanno costruito la loro magnifica impresa. Non avevamo certo l’argenteria che tanti altri lucidavano da settimane: a quale ct non farebbero comodo un Kane, un Benzema, uno Mbappé? Un Cristiano Ronaldo, un Lukaku, un De Bruyne? Un Havertz, un Lewandowski, uno Sterling (se ci sente Bizzotto…)?

Fenomeni del calcio che in ogni momento possono fare la differenza, inventare l’assist geniale, il tocco vincente. Noi, gara dopo gara, gol dopo gol, abbiamo scoperto – e li abbiamo fatti scoprire anche agli avversari – i nostri: meno titolati ed esperti, ma uniti in un mix letale di gioventù ed esperienza, corsa e qualità in mediana, una difesa blindata, tanti muscoli e cuore immenso. Siamo rimasti con i piedi per terra dopo un girone stravinto, abbiamo evitato il trappolone austriaco, rifilato un’altra batosta al Belgio. Ci siamo presi la rivincita contro la Spagna. Fino a Wembley, con le batterie in riserva ma la consapevolezza che la missione era tutt’altro che impossibile.

Perché la fatica “è un peso che ti spezza” per dirla alla papa Francesco, ma quando alla fatica si riesce “a trovare un significato, allora il tuo giogo si fa più lieve”.

Loro dovevano vincere. Noi sapevamo che avremmo vinto. Bella differenza, no? Un’inquadratura rivelatrice del confronto l’abbiamo colta sull’1 a 1, a pochi minuti dal termine del secondo tempo, quando un invasore in cerca di popolarità costringe l’arbitro a fermare il gioco. Carrellata di volti: gli inglesi, tesissimi, il nostro Verratti invece fatica a trattenere il riso. L’allegria di chi si sta assaporando il momento. E così, pochi giorni prima, ai rigori contro la Spagna: il Mancio fa una battuta nel cerchio, si vede benissimo che tutti ridono. “Chiunque indosserà la maglia azzurra – aveva detto il ct il giorno della sua presentazione – pensi a quando era bambino, si ricordi i suoi sogni”. Vi siete mai fermati a guardare i bimbi che corrono dietro a un pallone più grande di loro? Allegria, spensieratezza, leggerezza, cosa c’è di meglio?

Perché è un gioco, il gioco più bello di tutti. Tanti perdono, solo uno vince: è toccato a noi e non certo per caso. Oggi sul tetto d’Europa, ma solo tre anni e mezzo fa, il 14 novembre 2017, il caos del Sansirazo, l’azzurro sbiadito di uno scialbo zero a zero contro la Svezia e ciao ciao Mondiale. I fischi, i processi. Poi, sei mesi dopo il disastro, Roberto Mancini si presentava a Coverciano. “Vorrei essere un ct perbene, ricostruire la Nazionale, riavvicinarla ai tifosi e riportarla sul tetto del Mondo e d’Europa”.

Dal 21 novembre al 18 dicembre 2022 si gioca in Qatar. Segnatevelo, non si sa mai…

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