Edda Albertini, il teatro tra dramma e allegria clownesca

Edda Albertini ritratta da Giorgio Romagnoni

“Un coagulo di tensioni: dalla tragedia alla smorfia buffonesca”, scrisse di lei il critico teatrale Giorgio Prosperi. Edda Albertini, nata a Trento il 29 maggio del 1926, era così: “intelligente, sognatrice, irrequieta”, e ancora: “un fascio di istinti, di immagini, di idee”, come viene raccontata in “Un’attrice allo specchio: Edda Albertini”, volume curato da Marcella Uffreduzzi. 

Edda trascorre l’infanzia nel quartiere della Cervara. È affascinata dalla figura paterna, di cui ammira l’estro creativo: suo padre, infatti, è un decoratore. È lui, Rodolfo Albertini, che le farà conoscere, all’età di tredici anni, la poetessa trentina Nedda Falzolgher, di vent’anni più vecchia di lei. Nedda diventa per Edda una persona fondamentale, tanto che l’attrice arriva persino ad affermare che l’incontro con lei sia stato “il più importante della sua vita”. Con l’amica poetessa, Edda si preparerà per affrontare la prova di cultura generale dell’esame per entrare nell’Accademia di arte drammatica di Roma. 

Era arrivata nella capitale qualche anno prima, all’età di 14 anni, per recitare nelle fila della Gil (Gioventù italiana del Littorio). Wanda Capodoglio, che a quel tempo insegnava all’Accademia, l’aveva ascoltata esterrefatta e, quando le aveva chiesto che età avesse, non voleva credere che fosse così giovane. Le disse che doveva tornare a Roma compiuti i sedici anni e iscriversi all’Accademia. Edda fece proprio così, e nella scuola di recitazione incontra grandi personaggi come Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Paolo Pannelli, Luciano Salce e Luigi Squarzina. 

Nel teatro trova modo per esprimere se stessa in tutte le sue innumerevoli sfumature: c’è una parte clownesca, in lei, ma anche una zona d’ombra, più riflessiva e incline alla depressione e al dramma

Le viene proposta una parte in “A porte chiuse” di Sartre, sotto la regia di Luchino Visconti, ma lei rifiuta. Al tempo era ancora una sconosciuta, e la decisione di dire di no al più grande regista teatrale e cinematografico di quegli anni desta scalpore. Più tardi spiegherà così questa sua decisione: “Sono sempre stata così, mezza intelligente e mezza stupida! Ho sempre fatto le cose in cui credevo, d’istinto, pagando i miei errori che sono stati tanti”. 

Interpreta spesso donne forti e disposte anche al sacrificio per i propri ideali, prima fra tutte l’Antigone di Sofocle. Veste anche i panni di Anja ne “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov, Cristina ne “’O voto” di Salvatore Di Giacomo, Adela in “La casa di Bernarda Alba” di Lorca, Solveyg nel “Peer Gynt” di Ibsen. Riveste dei ruoli anche per la televisione e il cinema, ma non a lungo: non ama quel mondo di apparenze, non fa per lei. 

La sua voce è talmente versatile che molti registi se ne innamorano. Riesce ad essere al contempo dolce e aggressiva, tenue e sonora. Ha un forte umorismo, quasi paradossale, un’allegria clownesca che sfocia spesso nell’autoanalisi, nella depressione e nel silenzio. Giorgio Strehler ricorda che, una sera, a fine spettacolo, Edda attraversò il palcoscenico, dove si fermò a contemplare la sala vuota. Fermatasi, allargò le braccia e disse: “Teatro… Teatro…”. Era tutta la sua vita e, quando recitava, precisa Giuseppe Di Martino, partiva “da dentro”, da se stessa, per poi incarnare al meglio il personaggio di cui vestiva i panni. Muore nel 1988. 

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