I preti del futuro, un problema sinodale

Alcuni dei sacerdoti trentini. Foto © Gianni Zotta

Le cronache dell’accoglienza ai parroci in queste domeniche d’inizio autunno sottolineano l’entusiasmo con cui, nonostante mascherine e posti distanziati, le comunità si sono strette attorno ai loro preti. Forse il timore che potrebbero essere …gli ultimi nella storia del paese, ma certamente la riconoscenza per un servizio raro, al centro di un ripensamento: per il contesto e per il ruolo.

“Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”, ha constatato a proposito papa Francesco nel recente richiamo alla Curia romana per una “conversione pastorale” che passa anche attraverso il ruolo del presbitero. “Vorrei che riconosceste il mio compito non come di chi ha da comandare, ma come un ministero, un servizio”, ha detto domenica don Giulio Viviani nella sua apprezzata omelia d’ingresso a Mezzocorona. Ha evidenziato che il ruolo del prete sarà sempre più quello di “collaboratore della gioia” in una reale corresponsabilità con i laici: anche a loro è chiesto di favorire il rinnovamento nei presbiteri – che non è di identità, ma principalmente di stile relazionale – condividendone fatiche e soddisfazioni. Con amicizia sincera, senza atteggiamenti ossequiosamente clericali quindi, per preservare quel benessere spirituale e psicologico del prete che oggi è uno dei motivi che “frenano” giovani affascinati dal Vangelo e dai suoi testimoni, ma demotivati nel vedere troppi sacerdoti stressati o chiusi, lamentosi e insoddisfatti.

Per i sacerdoti trentini – giovedì 7 ottobre si incontrano con l’arcivescovo Lauro per la ripresa pastorale – ma anche per noi laici quello dei preti del futuro è un dossier che deve entrare nel confronto sinodale, che prenderà simbolicamente il via domenica 17 ottobre in Cattedrale alle ore 10. Non suona soltanto come allarme demografico (fra dieci anni i preti trentini in servizio attivo saranno meno di cento) ma come un passaggio cruciale e forse provvidenziale del rinnovamento invocato da papa Francesco già sei anni fa al convegno di Firenze e ribadito nell’ultima “visita” ai vescovi italiani.

“Sono necessarie da parte delle diocesi e dei loro pastori scelte coraggiose e impopolari – scrive il vicepresidente della CEI mons. Erio Castellucci nella prefazione al libro di Enrico Brancozzi “Rifare i preti. Come ripensare i Seminari” – per semplificare le strutture, alleggerire con diete adeguate il peso burocratico, amministrativo e gestionale che grava sui parroci, rilanciare in maniera sinodale gli organismi di partecipazione, rivedere il senso di alcune espressioni religiose tradizionali, che qualche volta hanno perso la loro anima cristiana. Una dieta di questo tipo aiuta i preti a dedicarsi con maggiore entusiasmo alla Parola di Dio, alla crescita delle persone e delle comunità, all’aggiornamento e alla preghiera e a dosare meglio i tempi del riposo e dell’azione. E aiuta coloro che si orientano a diventare preti a ridurre i loro timori verso il futuro, perché vedono che non è solo possibile, ma anche appassionante, dedicarsi totalmente all’edificazione della comunità cristiana, mantenendo lo spessore umano e la fede, nella consapevolezza di essere, sì, minoranza: ma “minoranza creativa” (Benedetto XVI)”. Mons. Castellucci, che è vescovo di Modena-Nonantola con varie esperienze vocazionali alle spalle, prova a concretizzare una proposta di itinerario formativo articolato in quattro passaggi, non rigidi peraltro.

Prima un periodo propedeutico, non più di un anno, per verificare le intenzioni, colmare le lacune culturali , avviarsi alla vita spirituale e comunitaria. Poi un biennio di convivenza in seminario, utile per concentrarsi negli studi e vivere un’intensa esperienza comunitaria, impostando una regola di vita. Ma il triennio successivo potrebbe svolgersi in piccole comunità a fianco del parroco, in relazione con i laici, proseguendo studio e preghiera. Nell’ultimo anno poi l’abitazione nella famiglia di un diacono permanente, recuperando la connotazione domestica del ministero. È solo “una proposta”, ma già condivisa da molti. Punta ad avvicinare già “prima” il prete del futuro alla realtà in cui sarà immerso “dopo” l’ordinazione. Cosa che per tanti decenni non è stata favorita da un’impostazione fortemente condizionata da un modello tridentino.

Il contributo del vescovo Castellucci e il libro di Brancozzi, rettore del seminario fiorentino, trovano una significativa corrispondenza in alcune scelte avviate dai formatori del seminario di Trento che cercano di favorire nei seminaristi l’inserimento nella vita parrocchiale e pure la relazione costante con alcune famiglie. Si è anche consigliato di trascorrere un anno fuori dal seminario in realtà significative di servizio. E ad un discernimento più efficace e meno vincolante punta anche l’avvio della Casa Vocazionale di viale Verona, sperimentazione di vita comunitaria in un ambiente informale. Tutte iniziative da cantiere sinodale, tenendo vivo l’impegno del primo giovedì del mese in cui le parrocchie sono invitate a sintonizzarsi nel pregare per i preti del futuro.

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