Cure contro la depressione, l’Università di Trento impegnata nella ricerca

L’Università di Trento, insieme all’Università di Bologna, è impegnata nello studio di nuove cure per la depressione, una delle malattie più diffuse a livello globale, che colpisce 280 milioni di persone nel mondo.

I lavori partiranno a febbraio del 2022. Le due università lavoreranno in squadra con quattro partner industriali: Biogen Inc, Janssen Pharmaceutica NV, Merck Sharp e Dohme Corp.

L’obiettivo è individuare un nuovo trattamento farmacologico contro la depressione, perché quelli esistenti non sono abbastanza efficaci e rischiano anzi di avere effetti collaterali debilitanti. All’Università di Trento spetterà il coordinamento del lavoro, che si concentrerà sullo studio delle cause della malattia per arrivare a trovare soluzioni più efficaci.

Uno dei più importanti geni di rischio è il regolatore della crescita neurone 1, NEGR1. Attraverso la combinazione di genomica umana, fisiologia cellulare e studi neurocomportamentali si cercherà di comprendere le conseguenze molecolari, cellulari, funzionali e comportamentali della modulazione del NEGR1 e il suo ruolo nella depressione.

“La genomica psichiatrica ha compiuto enormi passi avanti nell’individuazione dei principali fattori di rischio di molte malattie, ed è venuto il momento di impegnarsi concretamente per trasformare l’evidenza scientifica prodotta finora in opportunità di sviluppo farmacologico”, dice Enrico Domenici, professore del Dipartimento di biologia cellulare, computazionale e integrata (Cibio) dell’Università di Trento. “La depressione rappresenta oggi un’esigenza medica non ancora soddisfatta, e medici e pazienti hanno bisogno di nuove opzioni per curare questa malattia partendo da una comprensione più ampia della sua eziologia”.

Anche il professor Giovanni Piccoli (sempre del Cibio) è coinvolto nello studio per conto dell’Università di Trento.

“Questa collaborazione riunisce attori fondamentali del settore in un progetto stimolante e ambizioso”, afferma invece Lucia Carboni, ricercatrice del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna. “Il nostro auspicio è che questo sforzo congiunto conduca alla scoperta di nuovi antidepressivi basati su un meccanismo completamente nuovo, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui la depressione verrà curata in futuro”.

C’è anche Roberto Rimondini Giorgini, professore al Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Alma Mater, coinvolto nello studio assieme a Lucia Carboni.

A riunire il gruppo di ricerca è stato il Psychiatry Consortium, una collaborazione da quattro milioni di sterline che coinvolge sette aziende farmaceutiche globali e due organizzazioni per la promozione della ricerca medica. Il Consorzio è creato e gestito da Medicines Discovery Catapult (MDC) e finanzia progetti di alto valore per lo sviluppo di nuovi farmaci in questo settore, che ha forti esigenze mediche insoddisfatte, per trasformare l’attività di ricerca in progetti di “drug discovery”.

“Il Psychiatry Consortim di MDC ha riunito un gruppo internazionale di partner con l’unico obiettivo di migliorare la qualità della vita dei pazienti“, dichiara Jessica Lee, a capo dei partenariati incentrati sui pazienti. “Il Psychiatry Consortium consente all’industria farmaceutica e al mondo accademico di condividere conoscenze ed esperienze per un obiettivo comune, promuovere una ricerca globale d’avanguardia che si possa tradurre in prodotti commerciali a vantaggio della società, ed è stato istituito esattamente per questo tipo di collaborazione internazionale”.

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