2021: sarà ricordato come un anno di svolta?

17 febbraio 2021: il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Senato rende le comunicazioni sulle dichiarazioni programmatiche del Governo. Foto governo.it

Si potrebbe dire che l’anno che si chiude è stato più che complesso per la politica italiana, perché ne ha messo a nudo le molte debolezze. Si è aperto con il confuso crollo del governo giallo-rosso guidato da Giuseppe Conte, quando le forze politiche hanno mostrato tutta la loro incapacità di affrontare un passaggio difficile, tanto che è dovuto intervenire, praticamente d’autorità, il presidente Mattarella chiamando in febbraio l’ex governatore della BCE Mario Draghi a guidare un governo che doveva riunire praticamente tutti i partiti politici: tanto quelli che avevano un po’ stupidamente invocato “o Conte o morte”, quanto quelli che pensavano fosse l’occasione buona per una spallata al sistema chiamando elezioni nazionali in nome del populismo.

L’anno si chiude con i partiti arrovellati nella ricerca di una sistemazione del quadro politico che tenga insieme l’individuazione di un successore di Mattarella all’altezza del delicato momento e la proposizione di una sistemazione del governo che consenta sia l’avvio definitivo del PNRR sia la gestione di una emergenza pandemica ancora minacciosa. Anche in questo caso con forze politiche che dicono e si contraddicono in continuazione, in un gioco di specchi deformanti sempre meno bello da vedere.

Eppure da tanti punti di vista il 2021 è stato un anno fruttuoso per la politica italiana. Non solo Draghi al governo si è rivelato una ottima scelta per il nostro ruolo nella politica europea e internazionale, ma è riuscito a prendere in mano con autorevolezza sia la lotta al Covid-19 sia la messa in pista del PNRR. La nomina a marzo del generale Figliuolo come commissario straordinario per la campagna vaccinale ha consentito al nostro paese di realizzare un livello di copertura contro la diffusione del virus che ci fa trovare oggi in condizioni migliori di quelle dei nostri partner occidentali. Soprattutto grazie al successo dell’operazione si sono potute confinare le proteste e gazzarre di frange irresponsabili nei termini di un fenomeno folkloristico, ma marginale, nonostante qualche episodio sfuggito di mano (i fatti di Roma del 9 ottobre con l’assalto alla sede della CGIL, le proteste al porto di Trieste). Una parte dei media ci sguazza per ragioni di spettacolo e di audience, ma non è roba seria.

Lo stesso avvio delle operazioni per dar corpo agli impegni sull’impiego dei fondi del Recovery europeo ha superato tutte le manovre dilatorie e di disturbo di forze politiche ostinatamente legate allo sventolio di vecchie bandierine. Particolarmente rilevanti da questo punto di vista i risultati raggiunti dalla ministra Cartabia in tema di riforma del sistema giudiziario. Nel complesso il governo è anche riuscito ad intervenire sulle difficoltà economiche indotte dalla difficile congiuntura imposta dalla pandemia. Certo non poteva fare i “miracoli” che ogni partito e ogni agenzia sociale gli chiedeva a tutela del “passato” dei suoi referenti, ma il paese oggi non è in preda ad una crisi di consenso sociale come avrebbe potuto anche succedere.

Durante l’anno abbiamo assistito ad una lenta, ma effettiva rimodulazione delle forze politiche presenti in parlamento. I due casi più significativi sono stati il netto ridimensionamento dei Cinque Stelle e l’indebolimento della Lega come perno del centrodestra.

All’ex partito di Grillo non ha portato fortuna né la decisione di sfruttare l’adesione al governo Draghi cercando di farlo passare come un proprio successo politico (ricordate il conferimento del titolo di grillino ad honorem al ministro Cingolani, per poi fare marcia indietro?), né la sofferta decisione di affidarsi alla guida di Giuseppe Conte, dato come leader popolarissimo, ma rivelatosi come un politico piuttosto modesto.

La Lega ha perso la posizione di partito chiave del centrodestra per l’avanzata che i sondaggi attribuisco a FdI di Giorgia Meloni, ma soprattutto perché Salvini si è avviluppato in una politica contraddittoria che non sapeva scegliere fra lo schierarsi lungo la nuova linea che emergeva col governo Draghi e il continuare nelle sceneggiate populistico-barricadiere (inclusa qualche strizzatina d’occhio ai no vax). Non è così che si consolida una leadership.

A guadagnare in questo contesto è stato indubbiamente il PD, più grazie alle cattive figure tanto dei suoi avversari quanto dei suoi alleati, piuttosto che per avere trovato una identità che sfuggisse ai vecchi territori del presunto campo largo di una generica sinistra. Tuttavia indubbiamente i risultati delle amministrative del 3-4 ottobre lo hanno premiato con successi nelle principali città al voto.

Rimane però il grande rebus delle forze che si collocano sotto le prime quattro. Forza Italia, che di queste è la maggiore, è ancora prigioniera dell’ingombrante presenza di Berlusconi, alla cui rilevanza peraltro non ha nulla da contrapporre. Le altre sono componenti ancora in cerca di un futuro che appare quanto mai incerto in un quadro che sconterà prima o poi alle elezioni politiche la drastica riduzione dei seggi disponibili, per di più senza una legge elettorale capace di riorganizzare i meccanismi di determinazione della rappresentanza.

Insomma l’anno che va a chiudersi apparirà, crediamo, come un anno di transizione e di svolta. In che direzione, con che modalità e con che costi potremo scoprirlo solo vivendo.

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