Cinque Stelle sulla graticola. E i partiti guardano a maggio

La prima pagina del Corriere della Sera di martedì 8 febbraio

Tiene banco la vicenda giudiziaria dei Cinque Stelle con la prima pronuncia del tribunale civile di Napoli sulla vicenda che ha portato alla leadership di Conte. Si sprecano le considerazioni su una ipotetica crisi finale del MoVimento privato della sua guida, ma siamo sempre nella politica-spettacolo: difficile che un assembramento caotico come M5S venga toccato da questioni legalistiche, semmai i suoi problemi sono altri.

I Cinque Stelle non hanno una vita di base, non hanno partecipazione che non sia elettorale, vuoi esterna nelle urne, vuoi interna su piattaforme più o meno convincenti, dunque non si vede perché quegli iscritti che si limitano a votare dovrebbero porsi problemi su come viene gestito un vertice a cui si affidano fideisticamente. Non fosse così, non si assisterebbe sempre a votazioni on line in cui quelli che  partecipano (non proprio a ranghi serrati) approvano a grande maggioranza per la pietanza che è stata preparata per loro dai vertici.

Semmai il problema, in questo caso come per gran parte dei partiti, è lo spegnersi nell’opinione pubblica degli ardori per le promesse demagogiche di riforme radicali: un fenomeno che sta facendo crescere l’astensionismo, mentre i partiti insistono nella ricerca di nuove proposte mirabolanti. È questo che porta al continuo fiorire di ricette parolaie nel tentativo di riconquistare l’attenzione di un Paese sfibrato da due anni di pandemia che per il momento sembra concentrarsi solo sull’uscita dalle restrizioni sanitarie. Così ci si spinge sul sempiterno ricorso alla promessa di bonus e cose simili: per sostenere questo e quell’altro, per contenere il caro bollette, e via dicendo.

Ci sarebbe il piccolo problema che queste misure costano e che i nostri conti pubblici non consentono significativi “scostamenti” come si dice con grande leggerezza. I mercati che comprano il nostro debito sono già in tensione, lo spread sale sia pure per fortuna non a livelli consistenti, ma a marzo finirà l’acquisto dei nostri titoli di debito da parte della BCE e sarebbe bene ragionarci sopra.

Stentano a farlo dei partiti che ormai ragionano in vista di scadenze elettorali imminenti e un po’ più lontane (sebbene non daremmo per scontato che la legislatura giunga al termine naturale). Qui troviamo due questioni confliggenti. La prima riguarda la prossima tornata di amministrative a maggio, quando si voterà con un sistema di tipo maggioritario accentuato dall’elezione dei sindaci. Questo significa necessità di tenere in vita coalizioni, il più ampie possibili, per avere chance di successo. La seconda riguarda le elezioni politiche prossime, per cui non è ancora certo con che legge si voterà, ma ci si comincia a chiedere se convenga tenere in piedi delle coalizioni che hanno mostrato numerose falle.

Nei partiti si discute dell’opportunità di provare a varare un sistema elettorale di tipo proporzionale, ciò che consentirebbe ad ogni partito di presentare una propria proposta senza dover mettere insieme accordi per coalizioni farlocche in cui alla fine tutto si stempera in affermazioni populiste generiche. A parte le difficoltà ad approvare una riforma in un parlamento balcanizzato come quello attuale, c’è da tenere conto che si tratterebbe di progettare un superamento delle coalizioni nei mesi in cui queste vengono messe in campo per competere nell’elezione dei sindaci in un numero consistente di comuni (anche se, a parte qualche caso come Genova e Palermo, mancano le città-star come fu nella tornata dello scorso anno).

Aggiungiamoci che a complicare il quadro concorrono le fibrillazioni in quella che si autodefinisce l’area di centro: in realtà si tratta di piccoli partiti che nascono da distacchi (scissioni ci pare un termine obsoleto) dal PD e da FI più qualche disperso in naufragi precedenti. La somma di questi frammenti può raggiungere percentuali che incidono, ma non è detto che siamo in presenza di addendi compatibili fra loro, non da ultimo per la compresenza di troppi capi. Tutto ciò genera una confusione notevole in un quadro politico che è di natura ambigua. Può favorire l’azione di Draghi al governo, che per questo può tirare dritto sulla sua linea, ma può anche generare una competizione continua fra i partiti della sua ampia coalizione, per cui ogni decisione sarà soggetta ad azioni di disturbo quando non di boicottaggio di qualche componente.

Ci attende una fase politica che temiamo sarà più complicata del previsto.

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